Il fenomeno WIRKIN ci ha intrattenuto durante le feste natalizie, monopolizzando TikTok USA.
Come? Non sapete di cosa stiamo parlando?
Per chi non ha avuto tempo di scrollare noiosamente i “per te” del famoso social, ecco per voi un breve riassunto della vicenda e un esame delle criticità legate alla proprietà industriale.
Il Caso
La catena di ipermercati statunitense Walmart ha introdotto nel suo assortimento una borsa che richiama in maniera precisa il design della celebre Birkin di Hermès. Questo modello, nato inizialmente per Jane Birkin, si è affermato nel tempo come un simbolo di lusso esclusivo, grazie ai suoi prezzi elevati e alla rarità di accesso, resa ancora più esclusiva da lunghe liste d’attesa e produzione limitata.
La versione proposta da Walmart, ribattezzata sui social “Wirkin” grazie a una crasi tra i due nomi (Walmart e Birkin appunto), ha registrato un successo straordinario, sparendo rapidamente dagli scaffali e dal sito web.
Numerosi sono i video, ancora visibili, delle utenti alla ricerca della “Wirkin” tra scaffali vuoti, contrapposti ad altri di “fortunate” acquirenti.
Curiosamente, quella che potremmo definire un “dupe” della Birkin, per usare un termine tanto caro al mondo dei social, è diventata un accessorio di tendenza da esibire su piattaforme come Instagram e TikTok, quasi al pari della leggendaria versione originale.
Anzi: è interessante osservare la creatività delle utenti e delle creator/influencer che, in un gioco di ironia, su TikTok hanno scherzato fingendo che le loro autentiche Birkin fossero in realtà le popolari Wirkin appena acquistate.
Alcune si sono spinte a confronti tecnici per evidenziare l’assenza di differenze visibili tra i modelli, ad accezione della materia prima utilizzata e dell’assenza del logo.
Il motto che rapidamente è stato celebrato racconta qualcosa del significato che sottende la vicenda: “wirkin bags for wirkin class”.
Al costo democratico di 78 dollari anche le lavoratrici e donne “comuni” possono (per meglio dire “hanno potuto”, in quanto la borsa ha registrato velocemente il sold out e attualmente non è in vendita) permettersi di aspirare a un oggetto esclusivo e di lusso.
L’analisi
Prima di analizzare la vicenda dal punto di vista legale e della proprietà intellettuale, ci preme analizzare questo evento dal punto di vista sociale.
Indubbiamente il comportamento di Walmart ci induce a condurre una riflessione avviata da tempo e relativa al nuovo ‘wind of change’ che soffia sempre più insistente tra i consumatori, oggi più consapevoli e più attenti al reale valore delle cose.
Sembra che finalmente si abbia il coraggio di prendere coscienza di alcuni aspetti del mondo della moda che prima si preferiva ignorare. Infatti, una fetta sempre più consistente di consumatori, da una parte, condanna il mondo del fast fashionper i suoi retroscena inammissibili dal punto di vista etico ed umano, dall’altro inizia a valutare con maggiore attenzione il reale valore soprattutto alla base degli articoli di abbigliamento, borse e relativi accessori.
Quest’ultimo aspetto è testimoniato anche da Raffaello Napoleone, CEO di Pitti Immagine 2025, il quale, intervistato dal Tg2[1], alla domanda relativa a quali fossero le nuove richieste dei consumatori, ha dichiarato “Un prodotto che costi per il valore effettivo che ha. C’è stato in questo periodo un rimbalzo dichiarato anche dai grandi marchi troppo alto rispetto al valore specifico ed effettivo del prodotto”.
In questo contesto risulta comprensibile come abbia preso piede il fenomeno della cd. dupe mania e, quindi, per ricollegarci al caso in esame, anche il successo della WIRKIN di Walmart.
La percezione dei consumatori
Il dupe non è altro che la replica di un prodotto, con un aspetto estetico sovrapponibile all’originale, ma che spesso rappresenta la sua “versione low cost”. Il valore attrattivo ed il capitale pubblicitario incorporato nel marchio del prodotto originale sono indubbiamente pregiudicati da questo fenomeno, esplicazione di un vero e proprio atto di agganciamento parassitario.
Il dupe è percepito, soprattutto dai consumatori più giovani con budget più limitati, come un acquisto intelligente. Non si tratta di contraffazione classica, perché non viene riprodotto il marchio originale. Piuttosto, il dupe interessa proprio prodotti il cui brand non è espresso in modo evidente, come la Birkin di Hermès, la quale non riporta in modo visibile nessun segno distintivo, se non la sua forma che vedremo essere oggetto di marchio.
Spesso, il dupe riesce ad attrarre consumatori facendo leva sul prodotto al ribasso. Talvolta, invece,
fa leva sul numero di prodotti venduti, proprio come nel caso della Mary Poppins Bag di Uniqlo, il cui prezzo di vendita era di soli 20 euro, mentre il dupe costava soli 5 euro. Il danno, dato il numero di repliche commercializzate, è stato comunque ingente, soprattutto in termini di lucro cessante.
Conclusioni
Fermo restando quanto sopra e pur comprendendo la lodevole presa di coscienza delle nuove generazioni in merito al reale valore di un prodotto, occorre altresì domandarsi se e con quali criteri definire quale sia il “giusto” prezzo da assegnare ad un bene.
In altri termini: è corretto considerare il prezzo solo in base al materiale con cui è realizzato l’articolo, le sue decorazioni ed i suoi accessori, trascurando gli investimenti effettuati per realizzare quella specifica forma, avente proprio quell’esatto aspetto esteriore che ha catturato l’attenzione dei consumatori, nonché le risorse impiegate per affermare quella specifica brand image sul mercato di riferimento?
È lecito, quindi, delegittimare i diritti di proprietà industriale, la cui funzione è proprio quella di tutelare detti investimenti assegnando un diritto di esclusiva al relativo titolare (o avente causa)?
Ma quali sono i principali titoli registrati e azionabili di Hermès?
In primis, guardando al territorio statunitense, dove la vicenda si è consumata, la società risulta titolare di due marchi: uno, relativo alla celebre chiusura, l’altro relativo al fronte e lato della borsetta nel suo complesso, manico escluso, rappresentati rispettivamente qui di seguito[2].
Il luxury brand francese potrebbe contestare la condotta di Walmart lamentando la violazione del suo marchio, nonché eventuali suoi diritti di copyright sul disegno della borsa ed, infine, la violazione della normativa di concorrenza sleale per agganciamento parassitario alla notorietà e ai valori insiti nella figura dell’articolo in questione.
Per ricollegarci, invece, al quesito sopra esposto, ci sentiamo di richiamare l’aforismo latino secondo cui “In media res stat virtus”. In particolare, i marchi famosi potrebbero ammettere che un prodotto, il quale ha già conquistato l’etichetta di “iconico”, può comunque rimanere esclusivo, seppur a prezzi elevati, ma comunque non folli e, soprattutto, eccessivamente distante dal reale valore del prodotto stesso. Solo così, forse, esaudendo il desiderio di un numero maggiore di persone, potremmo evitare le perdite derivanti dall’acquisto dei dupes. Dall’altra parte, tuttavia, il consumatore dovrebbe sapere ammettere che se un prodotto non è accessibile, non si deve possedere a tutti i costi e, soprattutto non si deve favorire l’agganciamento parassitario del produttore di un prodotto simile, non autorizzato.
[2]https://tsdr.uspto.gov/#caseNumber=74336038&caseSearchType=US_APPLICATION&caseType=DEFAULT&searchType=statusSearch
[1] Edizione del 14 gennaio 2025, ore 13.00, reperibile al seguente link: https://www.raiplay.it/video/2025/01/Tg2-ore-1300-del-14012025-ce0cbe0d-048a-4aa8-8fd5-75c4631c3348.html