L’attività di ricerca commissionata ad un lavoratore autonomo
Articolo pubblicato in Bugnion News n.24 (Settembre 2017)
Avete presente il proverbio che invita a “Contare fino a 10?” prima di prendere una decisione?
Ecco, quando si decide di commissionare un’attività inventiva (es. ricerca e sviluppo, sperimentazione, consulenza, etc. ) ad un lavoratore autonomo (nel caso del lavoratore dipendente, si rimanda all’approfondimento di cui al seguente link: http://www.bugnion.it/invenzioni_dei_dipendenti.php?id=2) occorre contare fino a 10, o quanto meno fino a quel tempo ragionevole per condurre una riflessione preventiva sulle implicazioni che potrebbero compromettere gli innumerevoli vantaggi derivanti da tale scelta, se il rapporto con il lavoratore non viene disciplinato correttamente.
Incaricare terzi dello svolgimento di un’attività inventiva (in cd. outsourcing) può consentire al committente di risparmiare sugli investimenti per la ricerca interna, affidandosi a personale preparato ed affidabile, con un patrimonio di conoscenze e competenze a cui poter attingere, nonché godere di una maggiore attendibilità dei costi e delle tempistiche che tale attività inventiva richiede. Inoltre, il committente può recuperare il capitale investito attraverso lo sfruttamento dell’invenzione ed, eventualmente, dei miglioramenti che abbia fatto propri e fare fronte ad esigenze di rapido cambiamento imposte dal mercato, anche qualora sia privo delle risorse umane o finanziarie all’uopo necessarie.
Tuttavia, la possibilità di conquistare i benefici di cui sopra può perdersi alla stessa velocità con cui si è commissionata l’attività inventiva, senza provvedere a regolare contrattualmente il rapporto instauratosi.
Il rischio è quello di non vedersi riconoscere la titolarità dell’invenzione alla cui realizzazione si sono destinati (spesso ingenti) investimenti.
Un aiuto concreto, in tal senso, ci arriva dal legislatore che, con la L. n. 81 del 22.05.2017 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato – conosciuta come Job Acts per i lavoratori autonomi), entrata in vigore il 14.06.2017, ha dato conferma a quello che era l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, a cui si faceva ricorso per colmare il gapnormativo.
Sino a questo momento, infatti, per definire a chi spettasse la titolarità dei diritti brevettuali su un’invenzione commissionata, si è fatto riferimento, in via analogica, a quanto previsto per le invenzioni realizzate dal lavoratore dipendente (art. 64 C.p.i.), ritenendo che quando la prestazione oggetto dell’incarico commesso è di attività inventiva, occorre applicare il principio generale secondo cui l’opera intellettuale commissionata è acquistata in via originaria dal committente (ex multis: Trib. Milano n.6964/2014).
Adesso, come anticipato, l’articolo 4 D.L. Job Acts per i Lavoratori autonomi, rubricato “Apporti originali e invenzioni del lavoratore” stabilisce che:
“Salvo il caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo, secondo le disposizioni di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633, e al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30”.
Alla luce di quanto sopra, si ricava che la titolarità piena ed esclusiva dei diritti brevettuali sull’invenzione derivante dall’attività di ricerca commissionata spetta senza dubbio al committente.
Tuttavia, è di essenziale importanza sottolineare che, in assenza di qualsiasi regolamentazione contrattuale, sarà sicuramente più difficoltoso stabilire se l’attività inventiva sia stata effettivamente prevista ad oggetto del contratto di lavoro e a tal fine compensata.
L’impresa diventa ancora più ardua quando gli accordi sono stati presi tra le parti per via esclusivamente orale, senza che ci sia stato alcuno scambio di corrispondenza a testimoniarlo.
Pertanto, a mali estremi… il contratto rimedia!
Infatti, la stipulazione di un contratto che, tra le altre cose, preveda un oggetto chiaro, un compenso determinato e che, soprattutto, disciplini la titolarità dei diritti patrimoniali sull’invenzione derivante dall’attività di ricerca commissionata (il diritto morale ad essere riconosciuto quale inventore è indisponibile ed insuscettibile di essere trasferito), è certamente il mezzo più idoneo per prevenire il sorgere di contrasti tra le parti su tali aspetti, riducendo, se non eliminando del tutto il rischio di pregiudicare o bloccare lo sfruttamento dell’invenzione.
Peraltro, è dovere segnalarlo, la questione si complica quando l’attività di ricerca è commissionata ad un soggetto che, pur non essendo dipendente del committente, è un ricercatore subordinato di un’università o altra pubblica amministrazione che abbia, tra i suoi scopi istituzionali, finalità di ricerca (es. professori ordinari, associati, dipendenti universitari addetti alla ricerca scientifica e, secondo alcuni, anche i ricercatori parasubordinati).
Infatti, interpretando l’articolo 65, V C.p.i. secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggioritario, qualora la ricerca svolta dal ricercatore sia stata finanziata, in tutto o in parte, da soggetti privati, o realizzata nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore, la titolarità dell’invenzione spetta interamente all’università o all’ente di ricerca pubblico, in qualità di datore di lavoro del ricercatore dipendente).
Solitamente, nel caso specifico delle Università, è il regolamento dell’ateneo a sancire che l’istituto sarà l’unico titolare delle invenzioni realizzate con finanziamenti di privati.
Tuttavia, dato che tale regolamento disciplina precipuamente il rapporto con i ricercatori dipendenti, non è escluso che il committente possa stipulare un contratto con previsioni diverse.
Ad esempio, nel contratto con l’università, la titolarità dell’invenzione commissionata ai ricercatori potrebbe essere assegnata al committente e, di contro, all’università potrebbe essere garantito un diritto d’opzione in caso di eventuale cessione. In alternativa, l’accordo potrebbe sancire la contitolarità dei diritti brevettuali, con conseguente instaurazione di una comunione tra il committente e l’università sui diritti di sfruttamento economico dell’invenzione, sia che si voglia brevettarla, sia che si desideri mantenere il segreto sulle relative informazioni.
In conclusione, il suggerimento è quello di agire preventivamente disciplinando il rapporto con il soggetto incaricato dell’attività inventiva attraverso un contratto sufficientemente dettagliato, tale da prevenire il sorgere di divergenze che possano vanificare gli investimenti effettuati e compromettere un proficuo sfruttamento dell’invenzione.
© BUGNION S.p.A. – Settembre 2017