Il titolo, volutamente provocatorio, introduce alcune riflessioni nate da alcuni casi reali nei quali la fase di contenzioso ha portato alla nullità – totale o parziale – di una privativa, a causa della mancanza di attività inventiva. Il requisito dell’attività inventiva viene comunemente gestito tramite delle finzioni giuridiche che, a mio parere, possono facilmente determinare uno scollamento del caso non solo dalla realtà dei fatti, ma anche dalla ratio stessa della norma. Spero di spiegarmi meglio con un esempio.
Ipotizziamo due soggetti concorrenti che chiameremo AlfaDue e BetaUno, entrambi attivi da decenni in uno stesso settore, quindi entrambi esperti di quel settore. Ad un certo punto AlfaDue, magari prendendo spunto da un prodotto di BetaUno, sviluppa una soluzione semplice ed efficace. La soluzione è senz’altro nuova, ma una volta vista sembra banale. Tuttavia, credendo molto in questo prodotto, AlfaDue cerca di tutelarlo e arriva ad ottenere un brevetto europeo. Il prodotto di AlfaDue inizia ad ottenere il giusto successo commerciale, ma BetaUno avvia una causa di nullità della porzione italiana del brevetto. Non avendo alcun argomento per sostenere la mancanza di novità, BetaUno argomenta la mancanza di attività inventiva. In altre parole BetaUno sostiene che sarebbe stato ovvio per il tecnico del ramo (quindi per sé) arrivare a quella soluzione, salvo non esserci mai arrivata. Naturalmente BetaUno userebbe questa argomentazione anche nel caso in cui la tecnica nota più simile fosse un proprio prodotto. Come corollario, quella soluzione che BetaUno definisce pubblicamente una sciocchezza, nella realtà dei fatti genera un interesse tale da giustificare il dispendio di tempo, soldi ed energie necessario per affrontare una causa di nullità. È evidente dunque che la finzione giuridica non rende affatto giustizia alla realtà dei fatti.
Ora, avviata la CTU, si aprono due scenari possibili:
In un primo scenario il CTU, probabilmente dopo aver denigrato l’EPO per la facilità con cui rilascia i brevetti, giudica ovvia la soluzione. Il giudice annulla o limita drasticamente la porzione italiana del brevetto per mancanza di attività inventiva. Il risultato netto è che BetaUno può competere sul mercato sfruttando gli sviluppi fatti da AlfaDue, AlfaDue perde buona parte dei soldi investiti (tanto nello sviluppo del prodotto quanto nella procedura di brevettazione) e soprattutto perde fiducia nel sistema brevettuale. Quanto a BetaUno, fiducia nel sistema brevettuale non ne ha mai avuta e viene confermata nelle proprie idee.
In un secondo scenario invece la soluzione, per quanto semplice, mantiene la propria tutela. AlfaDue viene premiata, se non altro per il merito indiscusso di essere giunta per prima ad una soluzione interessante per il mercato. BetaUno si mangia un po’ le mani per non aver pensato prima alla soluzione tanto ‘ovvia’ e ha qualche stimolo in più a cercare di rinnovare il proprio catalogo. Probabilmente entrambi i soggetti AlfaDue e BetaUno saranno anche spinti a tutelare i loro futuri prodotti.
Ora, in quanto professionisti del settore, dobbiamo chiederci: da quale dei due scenari la collettività guadagna di più? Quale dei due scenari somiglia di più a ciò che voleva ottenere il Legislatore tramite l’istituzione di una privativa industriale?
Evidentemente l’attività inventiva è un requisito di legge e non può essere trascurato arbitrariamente: in questo consiste la voluta provocazione cui accennavo all’inizio. Tuttavia… Pensiamoci.
Articolo pubblicato in Notiziario del Collegio Italiano dei Consulenti in Proprietà Industriale N.11 Febbraio 2018