Articolo pubblicato in Bugnion News n.10 (Marzo 2015)
Qualcuno ancora non se ne è accorto, qualcuno non ci crede, qualcuno pensa che certi ragionamenti valgano solo per le grandi
aziende, eppure lo scenario economico-produttivo è davvero cambiato in modo radicale negli ultimi anni. Chi, per varie ragioni, non l’ha ancora compreso, parla del periodo attuale come ‘crisi”, ignorando che la crisi è invero una discontinuità con il passato – un periodo di transizione – e come tale non può concettualmente durare degli anni. La crisi è arrivata e passata e ci ha lasciato una nuova congiuntura, che oramai deve essere presa come un dato di fatto.
I fattori-chiave per competere, oggi, sono “prendere possesso” ed “estrarre valore” – cioè ricchezza – dalla conoscenza.
Per questo motivo, spesso, ci si riferisce al periodo attuale con il termine ‘economia della conoscenza ‘. Apparentemente, sembra un termine così lontano dal mondo dell’impresa; invece, riassume efficacemente due grandi cambiamenti che hanno scandito il riassetto di molte aziende e che hanno inciso drammaticamente sul modo di fare business.
Primo cambiamento: lo sviluppo di nuovi prodotti richiede multidisciplinarietà e integrazione di tecnologie da diversi settori. Pertanto, è necessario scambiarsi “conoscenza” e collaborare. Conseguentemente, la conoscenza ha assunto un ruolo “principe’ ed è oggi il vero differenziale – vale a dire ciò che permette di “scegliere” – tra due o più soggetti (aziende).
Parallelamente, e questo è il secondo cambiamento, gli impianti, le attrezzature e gli asset materiali in genere sono diventati commodities. Pertanto, è facile produrre a basso costo e addirittura delocalizzare, anche in modo molto frammentato. Conseguentemente, impianti, attrezzature e asset materiali non sono più una barriera per l’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti: servono nuovi asset (immateriali) per competere.
Questo nuovo “eco-sistema” è l’habitat ideale per la Proprietà Intellettuale, dato che “prendere possesso” ed “estrarre valore” dalla conoscenza sono nel suo DNA.
Da un lato, infatti, i diritti di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, design, diritto di autore) conferiscono un’esclusiva e dunque un monopolio, consentendo per loro stessa natura di “prendere possesso” della conoscenza.
Dall’altro lato, i diritti di Proprietà Intellettuale favoriscono le alleanze commerciali e di R&D e preservano l’unicità dei prodotti, consentendo di “estrarre valore (ricchezza)” dalla conoscenza. Nella visione moderna e attuale, dunque, la Proprietà Intellettuale genera profitto (attraverso licenze o cessioni di diritti), consente di stringere alleanze commerciali (mediante cross-licensing, conferimenti in M&A, patent pools) e permette alleanze di R&D (con enti pubblici o privati); la “governance” di tali alleanze si ottiene, di norma, proprio con accordi basati su diritti di Proprietà Intellettuale.
Ovviamente, nello scenario attuale, la Proprietà Intellettuale mantiene ancora le funzioni tipiche della visione più tradizionale, vale a dire quelle di bloccare la concorrenza e di garantire la libertà di azione (freedom to operate). Oggi, chi non parla più di “crisi” ha interiorizzato la Proprietà Intellettuale a tutti i livelli aziendali: commerciale, finanziario e “corporate”. Avremo occasione di vedere in futuro cosa questo significhi in dettaglio… (to be continued)
© BUGNION S.p.A. – Aprile 2015