Articolo pubblicato in Bugnion News n.40 (Marzo 2020) – Ascolta la versione Audio
Di chi sarebbero i diritti?
L’Intelligenza artificiale (AI) sta aprendo scenari e ponendo interrogativi, nel mondo della proprietà intellettuale, completamente nuovi, non inquadrabili nell’attuale quadro normativo, e rispetto ai quali numerosi giuristi si stanno interrogando con la finalità di adattare il diritto esistente a questi cambiamenti.
Una di queste domande è chi sia l’autore ed il titolare di brevetto nel caso di invenzioni realizzate da AI. Ugualmente, ci si potrebbe chiedere a chi spettino i diritti patrimoniali d’autore per creazioni intellettuali realizzate da AI.
A qualcuno sembrerà uno scenario molto lontano, e una domanda più filosofica che pratica, il pensare ad un algoritmo di AI che inventa o crea, ma in realtà le cose sono ben diverse.
È notizia recente che è stato scoperto un potente antibiotico, in grado di debellare batteri piuttosto resistenti ai farmaci convenzionali, dagli scienziati del Massachusetts Institute of Technology utilizzando l’intelligenza artificiale.
Tale importante scoperta è stata realizzata utilizzando una rete neurale che è stata in grado di analizzare più di 107 milioni di combinazioni di molecole utilizzando una base di partenza di poche migliaia di molecole.
Una domanda sorge spontanea: chi è da un punto di vista legale l’inventore in questo caso?
Il programma AI basato sulla rete neurale, il programmatore, o gli addestratori del sistema di AI?
Vediamo quali sono i precedenti in materia.
L’ Ufficio Europeo dei brevetti ha rifiutato due domande di brevetto, EP18275163 e EP18275174 per il fatto che in tali domande era stato designato, come inventore, un algoritmo di AI.
Per la domanda EP18275163 il titolare Stephen Thaler inizialmente non aveva depositato la designazione dell’inventore; successivamente su invito dell’EPO a rimediare questa carenza formale egli ha dichiarato che l’invenzione è stata concepita dall’algoritmo DABUS, una sorta di sistema intelligente informatico composto da più reti neurali fra loro interagenti per la generazione di nuove idee.
Secondo l’Ufficio Europeo dei brevetti, in particolare secondo il disposto dell’Art. 81 e della Regola 19 della Convenzione Europea dei Brevetti, l’inventore deve essere una persona fisica e, di conseguenza, la designazione d’inventore deve contenere un nome, un cognome ed un indirizzo dell’inventore.
L’Ufficio Europeo dei brevetti ha quindi rifiutato, nel corso di una udienza orale tenutasi il 18.11.2019, la domanda in questione in quanto l’indicazione del nome di una macchina (cioè DABUS) non soddisfa la Regola 19 della Convenzione Europea dei Brevetti.
La domanda EP18275174, dello stesso titolare Stephen Thaler, e avente lo stesso “presunto” inventore (l’algoritmo DABUS), ha avuto una identica storia e subito una identica sorte di EP18275163: è stata rifiutata infatti per le medesime motivazioni ovvero in quanto designante come inventore un algoritmo di AI.
Se quindi l’Ufficio Europeo dei brevetti ha chiarito la propria posizione in materia di diritto al brevetto di un algoritmo di AI, i casi in oggetto hanno messo in luce anche un’altra problematica connessa alla precedente, che è quella del trasferimento del diritto di brevetto da un algoritmo AI (qualora fosse riconosciuto inventore) ad una persona fisica o giuridica.
Secondo l’Ufficio Europeo dei brevetti (cfr. Decisione di rifiuto del 27.01.2020 di EP18275163) un sistema di AI non ha personalità giuridica comparabile a quella di una persona fisica o di una persona giuridica. Nell’attuale ordinamento, una persona fisica gode naturalmente di diritti giuridici per il fatto di essere un “essere umano”, ed una entità giuridica gode di diritti sulla base di un “artifizio” legale che le permette di avere diritti di natura legale. Tuttavia, un algoritmo di AI non è né un essere umano né una entità giuridica e secondo l’attuale sistema giuridico non può quindi godere di alcun diritto.
È questo il vero problema: il fatto che un algoritmo di AI non possa godere di alcun diritto, fa sì che esso non possa avere il diritto ad essere nominato inventore o autore, né possa vantare diritti di natura patrimoniale e cedere tali diritti (ad esempio i diritti di sfruttamento dell’invenzione o il diritto d’autore).
Identificare un sistema di intelligenza artificiale come “inventore” richiederebbe, in buona sostanza, non solo che accettassimo il fatto che un sistema di AI possa essere equiparato alle persone fisiche, ma il pieno riconoscimento di diritti di natura legale agli algoritmi di AI.
Verrebbe quindi cambiata non soltanto la nostra visione, “antropocentrica”, del diritto, ma anche la nostra relazione come esseri umani con la tecnologia da noi stessi creata.
Ad oggi, la maggior parte dei paesi, condivide la posizione dell’Ufficio Europeo dei brevetti: USA, Giappone, Cina, Corea, Germania, Francia, Inghilterra hanno espresso infatti posizioni del tutto similari per quanto concerne i diritti degli algoritmi di AI.
Recentemente, (Chen 2019), anche la corte di Pechino ha rifiutato la protezione derivante dal diritto d’autore il cui autore sarebbe stato, secondo la parte in causa, un sistema di intelligenza artificiale.
L’Ufficio Statunitense per la proprietà intellettuale, nel merito del diritto di autore, ha affermato che: “the Office will not register works produced by a machine or mere mechanical process that operates randomly or automatically without any creative input or intervention from a human author” (cfr. Compendium of U.S. Copyright Office Practices Chapter 300, S. 313.2).
Anche in tema del riconoscimento del diritto d’autore per le creazioni intellettuali, la posizione dei vari uffici competenti è quindi del tutto similare.
E, anche in questo caso, le applicazioni superano già oggi di gran lunga l’immaginario della persona mediamente informata: solo a titolo di esempio se ne citano alcune.
Next Rembrant è un software per generare nuove immagini artistiche sulla base di dipinti del pittore Rembrandt che ha memorizzato.
Aiva, invece, è una piattaforma basata sull’intelligenza artificiale, che consente di generare, sulla base di uno storico di tracce sonore memorizzate, nuove composizioni sonore, sulla base di algoritmi di intelligenza artificiale.
Come è evidente, sono sempre di più i sistemi di intelligenza artificiale evoluti che consentono di generare del contenuto creativo o inventivo, e noi stessi dovremo sicuramente nei prossimi anni rivedere parte delle nostre “certezze legali” per dare una risposta a queste evoluzioni tecnologiche.
© BUGNION S.p.A. – Marzo 2020