La marcatura dei prodotti Apple con una «i» posta prima del nome comincia nel 1998, con il lancio del primo iMac. Una “i” minuscola e la lettera seguente maiuscola. Quella che diventerà la famosa “i” viene scelta per rappresentare “internet”, qualcosa che nel 1998 non era ancora alla portata di tutti, ma anche per significare “individuo”, “immaginazione” ed altri concetti positivi che cominciano per “i”.
Dopo l’iMac seguono l’iBook, il famoso iPod, l’iPhone, l’iPad e poi ancora iTunes, iCloud, iChat, iMessage, iWork, iLife, iWeb, iMovie, iPhoto.
Una scelta di successo. La “i” minuscola posta prima di un nome richiama subito alla mente Apple: il consumatore (ne) è conquistato.
Anche l’orologio di Apple avrebbe dovuto quindi chiamarsi iWatch.
Invece, nel settembre 2014, Apple annuncia il suo nuovo prodotto e, nello stupore generale, invece di iWatch si chiama AppleWatch.
Come si spiega questa scelta? È semplice. Per un problematica di proprietà industriale e più precisamente di diritto sui marchi: un segno identico o simile a un marchio già registrato non può essere adottato come marchio o utilizzato nella nazione dove il marchio è già stato registrato per dei prodotti o servizi identici o simili. Il marchio iWatch è stato registrato da Apple in Messico, Taiwan, Giappone, Russia ma in altri paesi, come ad esempio in Unione Europea, la registrazione non è stata possibile a causa della presenza di marchi anteriori, cioè depositati prima della domanda di registrazione di Apple.
Tra tutti il più “fastidioso” è il marchio comunitario iWatch della società irlandese PROBENDI Ltd., tutelato sin dal 2008 per computer e software. Questo marchio è attualmente utilizzato anche dalla polizia italiana per un’applicazione che consente a più dispositivi di comunicare tra di loro e di inviare foto segnaletiche alla sede centrale, tramite l’app per smartphone che si chiama proprio: iWatch. Per questa ragione, Apple non è stata in grado di registrare il proprio marchio né tantomeno di utilizzare il nome iWatch che, senza il permesso dei titolari di diritti anteriori, avrebbe costituito un vero e proprio atto di contraffazione. Possiamo naturalmente immaginare che Apple abbia esplorato tutte le possibilità per ottenere il marchio iWatch (comprare la registrazione, invalidarla per mancato uso o forse – chissà- anche chiedere una licenza), tuttavia l’esito deve essere stato certamente negativo perché ha dovuto, suo malgrado, cambiare nome, presentando poi la scelta come una strategia di marketing: i prodotti concepiti durante l’era di Tim Cook non cominceranno più con la “i” ma con “Apple” e da qui AppleWatch nonché ApplePay.
Bisognerà ricordarlo anche a Tim Cook visto che in diverse interviste il CEO di Apple ha fatto riferimento al nuovo dispositivo continuando a chiamarlo iWatch!
Ma perché cambiare marchio può essere un problema?
Perché cambiare un nome è un cambio di identità.
Un marchio è l’elemento di congiunzione con la propria clientela, è il simbolo di un rapporto di fiducia. Ma, “…un cambio di nome è una dispersione di energia, una diminuzione della prestazione” (Jean-Noël Kapferer). Se poi consideriamo il “tribal marketing” che trasforma il marchio in aggregatore di persone intorno ad un concetto e ad uno stile di vita e poi ad un prodotto, Apple e i suoi prodotti sono proprio l’esempio per antonomasia di tribal marketing, perché sono un simbolo di appartenenza ad un certo stile di vita, all’adesione a certi valori; non solo status symbol ma un modello di comportamento, una espressione della propria personalità, o di quella che si vorrebbe avere.
Il rischio che si corre cambiando marchio è quello di perdere una parte di clientela che non riesce più a riconoscere il solito prodotto, o dubita che nel cambio di nome si siano mantenute le stesse qualità e caratteristiche.
Questa “inversione di marcia” avrebbe potuto essere evitata attraverso una previdente strategia di tutela del proprio marchio, seguendo un iter molto semplice ma efficace:
- individuare l’ambito geografico di interesse presente e futuro;
- eseguire ricerche di anteriorità per verificare la disponibilità del nome;
- depositare il marchio e acquistare il nome a dominio.
#PensarciPrima sarebbe costato molto meno.