La saga della famiglia Escobar pare essere giunta al capitolo conclusivo. Non ci riferiamo, stavolta, alla nota serie Netflix basata sulla vita del re del narcotraffico colombiano, bensì al contenzioso che ha visto come protagonisti (ed antagonisti) il marchio dell’UE PABLO ESCOBAR e gli organi giurisdizionali europei.
Per meglio comprendere i fatti bisogna fare un salto indietro al 30 settembre 2021, data in cui i rappresentanti della Escobar Inc., società colombiana che gestisce e detiene i diritti di proprietà intellettuale relativi a Pablo Escobar, depositavano presso l’Ufficio Europeo della Proprietà Intellettuale (EUIPO) una domanda di marchio finalizzata ad ottenere la registrazione del nome PABLO ESCOBAR per numerosissimi prodotti e servizi. Il marchio sarebbe stato destinato a contraddistinguere cosmetici, profumi, prodotti farmaceutici ma anche abbigliamento, occhiali da sole, strumenti musicali e persino caffè e servizi di ristorazione. Potevano forse mancare elicotteri, armi da fuoco, tabacco, bevande alcoliche … e trasporto e consegna di merci?
Gli esaminatori dell’EUIPO rifiutavano in toto tale domanda sulla base dell’art. 7, paragrafo 1, lettera f) del Regolamento sul marchio dell’Unione Europea, che nega la registrazione di segni contrari all’ordine pubblico o al buon costume.
In tutta risposta, la Escobar Inc. decideva di impugnare tale decisione.
La ricorrente sosteneva che, in assenza di una chiara ed universale definizione delle nozioni di “ordine pubblico” e di “buon costume” di cui al succitato articolo, dalla giurisprudenza risulta che l’esame della contrarietà di un segno a tali princìpi debba effettuarsi in relazione alla percezione del pubblico di riferimento dell’Unione o di una parte sostanziale di essa – anche solo di uno Stato membro. La lesione di tali princìpi sussisterebbe solo laddove il marchio venisse percepito come incompatibile con i valori morali fondamentali dei membri di tale territorio. L’ufficio europeo, a suo dire, avrebbe applicato in modo troppo severo l’articolo 7, paragrafo 1, lettera f) del Regolamento, non esaminando se la maggioranza del pubblico percepirebbe il marchio richiesto come immorale.
Piuttosto creativo è anche il ragionamento dei legali della famiglia colombiana secondo cui erano comunque stati registrati come marchi dell’UE persino i nomi di personaggi famosi come Robin Hood, Bonnie e Clyde, Al Capone o Che Guevara, divenuti mitici, simbolici o archetipici nella cultura popolare tradizionale, anche se responsabili di numerosi reati. Non vi era motivo, a loro dire, che non potesse esserlo anche il nome – peraltro già registrato in USA – di un uomo come PABLO ESCOBAR che, grazie alle sue numerose azioni a favore dei poveri della Colombia, tra cui il finanziamento di scuole ed ospedali, sarebbe diventato una figura di leader buono nella cultura popolare tradizionale, tanto da valergli il soprannome di “Robin Hood della Colombia”.
Per quanto sagaci, le argomentazioni addotte non convincevano la quinta commissione di ricorso dell’EUIPO, che confermava la decisione di rifiuto del marchio PABLO ESCOBAR citando noti precedenti in materia (su tutte 15/03/2018,-T 1/17, La Mafia SE SIENTA A LA MESA (fig.) e 29/09/2004, R 176/2004-2, BIN LADIN).
L’arrendevolezza, tuttavia, non pare essere il tratto caratterizzante della famiglia Escobar che, non soddisfatta delle decisioni di rigetto del marchio PABLO ESCOBAR emesse dall’ufficio europeo, decideva di impugnarle di fronte ad un’autorità di più alto grado: il Tribunale dell’UE.
Anche questo sforzo, tuttavia, è risultato vano ed infatti, con la recente sentenza del 17 aprile 2024 (causa T-255/23), il Tribunale ha confermato il rifiuto alla registrazione del suddetto marchio, supportando le precedenti motivazioni dell’EUIPO.
In sostanza, secondo le autorità giudicanti, il consumatore europeo di riferimento, ragionevole e dotato di soglie di sensibilità e tolleranza nella media – quello spagnolo in primis, preso come campione per via degli stretti rapporti tra Spagna e Colombia – avrebbe associato il nome PABLO ESCOBAR non tanto alle (presunte) buone azioni del leader del cartello di Medellin, quanto alle sue condotte criminose contrarie ai valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, rispetto della dignità umana, diritto alla vita ed all’integrità fisica sui quali si fonda l’Unione.
Anche se Pablo Escobar non era mai stato condannato da un tribunale colombiano, americano o europeo, ma aveva volontariamente accettato di essere rinchiuso nella sua prigione (“La Catedral”) nell’ambito di un accordo con il governo colombiano dell’epoca, il suo nome veniva percepito dal pubblico di riferimento come un simbolo offensivo della criminalità organizzata, che numerose sofferenze aveva causato a tante persone.
È interessante notare come tale decisione giunga quasi contemporaneamente all’adozione di nuove linee guida (Common Practice 14) atte a fornire un’interpretazione comune ed armonizzata, che funga da riferimento per l’EUIPO e tutti gli uffici di proprietà intellettuale degli Stati membri, dei concetti di ordine pubblico e buon costume.
La c.d. prassi comune si occupa non solo di definire tali nozioni ed il loro rapporto con la libertà di espressione, ma anche di chiarire le differenze che intercorrono tra di esse, i criteri e le date di riferimento per la loro valutazione, nonché di fornire alcuni esempi pratici.
Vengono anche individuate alcune tipologie di segni che potrebbero essere oggetto del divieto di registrazione ex art. 7, paragrafo 1, lettera f) del Regolamento UE, ovvero quelli che contengono/riguardano 1) sostanze illecite; 2) rischi per la sicurezza pubblica; 3) un nesso religioso o sacro; 4) elementi volgari (bestemmie, gesti offensivi ecc.); 5) oscenità, sessualità e doppi sensi; 6) segni che denigrano o diffamano un determinato gruppo; 7) attività criminali, crimini contro l’umanità, regimi, organizzazioni e movimenti razzisti, totalitari ed estremisti; 8) tragici eventi noti; 9) personaggi storici con connotazioni negative, ma anche personaggi storici positivi e simboli nazionali/dell’UE e/o personalità molto apprezzate quando accostate, ad esempio, a prodotti e servizi che potrebbero svilirne il nome (come NELSON MANDELA per carta igienica).
Entrambi i concetti di “ordine pubblico” e “buon costume” dovrebbero essere esaminati tenendo conto di fattori quali la valutazione del segno in sé (ad es. l’analisi dei suoi possibili significati, errori ortografici o modifiche insolite della sintassi, elementi verbali e/o figurativi aggiuntivi che potrebbero influenzarne il significato, ecc.), la relazione tra prodotti e servizi ed il segno/il pubblico di riferimento, la determinazione delle fonti affidabili e obiettive da cui poter accertare l’ordine pubblico e l’individuazione dei valori e delle norme morali fondamentali applicabili per il buon costume. Venendo ai casi pratici, secondo il dizionario Oxford l’elemento verbale PUSSY potrebbe riferirsi a una parola infantile per designare un gatto … o a un termine gergale per indicare gli organi genitali femminili. La combinazione di tale elemento verbale con l’elemento figurativo dell’impronta di un gatto
neutralizzerebbe il significato volgare e offensivo del segno. Al contrario, la combinazione dello stesso elemento verbale con la raffigurazione delle labbra di una donna
sembrerebbe fare riferimento alla connotazione sessuale del termine “pussy”, rafforzandone il significato scurrile.
Questo ci insegna, ancora una volta, quanto siano potenti i simboli ed il linguaggio e come sia necessario fare sempre attenzione … alle sfumature.