Si torna a parlare di Greenwashing dopo che il Consiglio dell’Unione europea, a seguito di vari confronti, ha approvato il 17 giugno scorso il testo contenente l’orientamento generale sulla tanto attesa “Direttiva Green Claims”, apportando delle modifiche rispetto alla proposta della Commissione del 22/03/2023.
E’ l’ultimo colpo di coda del ciclo legislativo precedente per influenzare in qualche misura l’andamento della fase successiva, che sarà gestita dai nuovi eletti.
Sono proprio il Consiglio e il Parlamento europeo ad approvare le direttive, su proposta della Commissione e, in questo caso, il Consiglio ha scelto di rilasciare un “orientamento generale” per fornire al Parlamento un’idea della sua posizione sulla proposta legislativa presentata dalla Commissione. In questo modo si dovrebbe accelerare la procedura legislativa e rendere più semplice il raggiungimento di un accordo.
La Direttiva in questione mira a ridurre il rischio di “greenwashing” stabilendo requisiti chiari per la fondatezza e dimostrazione delle affermazioni ambientali esplicite.
Queste affermazioni devono essere supportate da dati concreti e verificabili per evitare di indurre in errore i consumatori.
Da alcuni anni la Commissione europea ha, infatti, evidenziato quanto oggi sia difficile per i consumatori dare un senso alle numerose etichette sulle prestazioni ambientali di prodotti (sia beni che servizi) e aziende.
Per “asserzione ambientale” si intende, nel contesto di una comunicazione commerciale, qualsiasi messaggio o rappresentazione avente carattere non obbligatorio a norma del diritto dell’Unione o nazionale, in qualsiasi forma, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, quali marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o implica che un dato prodotto, categoria di prodotto, marca o operatore economico ha un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti, categorie di prodotto, marche o operatori economici oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo;
Dopo uno screening del 2021 su 344 asserzioni ambientali dubbie, era infatti emerso che nel 42% dei casi potevano essere false e ingannevoli e configurare una pratica commerciale scorretta.
L’Unione ha deciso quindi di affrontare il problema del greenwashing e proteggere i consumatori e l’ambiente, in un contesto in cui alcune dichiarazioni ambientali non sono affidabili e la fiducia dei consumatori è estremamente bassa, e lo sta facendo attraverso un pacchetto di proposte legislative.
Tra le varie norme che fanno già parte di questo pacchetto, è certamente importante la Direttiva n. 825/2024 approvata lo scorso 28 febbraio che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione. Queste e molte altre iniziative legislative in corso sono finalizzate all’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica nell’UE entro il 2050.
Sebbene sia già in vigore, trattandosi di una direttiva e quindi non direttamente applicabile, è solo entro il 27 marzo 2026 che gli Stati membri adotteranno e pubblicheranno le misure necessarie per conformarsi alla direttiva, informando immediatamente la Commissione. Essi applicheranno tali disposizioni a decorrere dal 27 settembre 2026.
Le modifiche che saranno introdotte alla normativa generale sulla tutela dei consumatori sono svariate, ma sicuramente la più importante consiste nello specifico inserimento tra le azioni ingannevoli anche di quelle riferite alle caratteristiche ambientali o sociali, e agli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità. E per non lasciare spazio a dubbi, nella normativa generale sono state introdotte cinque nuove pratiche commerciali in ogni caso sleali.
Dopo la norma generale, sta giungendo finalmente il momento di dare una forma definitiva alla norma speciale, quella che stabilirà norme dettagliate sull’attestazione e sulla comunicazione da parte delle imprese delle dichiarazioni ambientali di carattere volontario ed esplicite.
Dalla risultanza della revisione della proposta iniziale, possiamo riepilogare qualche aspetto che sarà introdotto, aspettando il testo definitivo per il doveroso approfondimento.
Nella nuova versione è stato precisato che le pratiche commerciali tra imprese (B2B) non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, che pertanto non regola le conseguenze delle misure di esecuzione nel contesto dei rapporti contrattuali B2B tra rivenditori e produttori.
È stata operata una distinzione tra:
- “asserzione ambientale esplicita”, vale dire un’affermazione ambientale fatta in forma scritta o orale, anche attraverso mezzi audiovisivi, escluse le etichette ambientali;
- “etichette ambientali”, un marchio di sostenibilità che riguarda esclusivamente o prevalentemente le caratteristiche ambientali di un prodotto, di un processo o di un operatore.
Le aziende dovrebbero utilizzare criteri chiari e le più recenti evidenze scientifiche per comprovare le loro dichiarazioni e le loro etichette. Inoltre, secondo le dichiarazioni e le etichette ambientali dovrebbero essere chiare e facili da capire, con un riferimento specifico alle caratteristiche ambientali a cui si riferiscono (come la durata, la riciclabilità o la biodiversità).
L’orientamento generale del Consiglio mantiene il principio fondamentale della verifica ex ante delle dichiarazioni ambientali esplicite e delle etichette ambientali, come previsto dalla proposta della Commissione. Ciò significa che ogni dichiarazione ambientale dovrà essere verificata da esperti indipendenti prima di essere pubblicata.
Al contempo, introduce una procedura semplificata per esentare alcuni tipi di dichiarazioni ambientali esplicite dalla verifica da parte di terzi.
E’ stato altresì ampliato l’ambito di applicazione della direttiva anche alle microimprese. Sebbene sia stato specificato che la Commissione dovrà adottare delle misure per aiutare sia le PMI che le microimprese a rispettare i gravosi oneri che la direttiva imporrà, ad esempio l’obbligo di certificazione delle asserzioni ambientali tramite un ente di certificazione accreditato, qualche apprensione da parte della scrivente permane.
Infatti, i costi e l’impegno che le imprese dovranno sostenere per l’attestazione della veridicità delle asserzioni o per la dimostrazione della loro veridicità, destano qualche preoccupazione anche sotto il profilo dell’equità e dell’accessibilità a tali sistemi di certificazione. Le imprese, siano esse piccole o addirittura micro, incontrando difficoltà ad accedere al sistema di certificazione, potrebbero essere svantaggiate dal punto di vista concorrenziale rispetto alle grandi aziende, le quali saranno in grado di promuovere i propri prodotti sul mercato attraverso l’uso di green claims.
Questo potrebbe comportare una forma di scoraggiamento da parte delle piccole e microaziende, al punto dal portarle a desistere dall’utilizzare green claims in merito ai propri prodotti e/o servizi, fino addirittura a rinunciare a investire nell’innovazione nell’ambito della sostenibilità ambientale, con un effetto diametralmente opposto rispetto a quello delineato nelle premesse alla proposta di Direttiva Green Claims.
Non resta che vigilare sul testo definitivo approvato e sulle misure che adotterà la Commissione per scongiurare tali rischi.