Articolo pubblicato in Bugnion News n.55 (Febbraio 2022)
Una questione spinosa si sta facendo sempre più largo in queste settimane, sulle ceneri ancora tiepide dell’ex compagnia aerea di bandiera: Alitalia.
“Il caso, ormai noto, potrebbe apparire semplice ma in realtà rappresenta l’esempio perfetto di quanto il lavoro di tutela e valorizzazione di un marchio possa nascondere mille e più insidie”, spiega Nadia Adani, consulente Marchi e Design di Bugnion.
Ripercorriamo velocemente la storia: la disputa nasce a dicembre 2020, quando un imprenditore 53enne, Cristiano Spezzali, presenta la domanda di registrazione del marchio “Ati – Aereo trasporti italiani”.
Il problema? Un marchio (e una società) denominato Ati (il cui nome per esteso era però “Aero trasporti italiani”, dunque con una “e” in meno rispetto a quello di Spezzali) esisteva già. Rappresentava, nello specifico, una società nata nel 1963, con base a Napoli, il cui maggiore azionista era proprio Alitalia, che la inglobò nel 1994 e con cui Ati condivideva il medesimo segno grafico (registrato) di quella “A” che richiama la coda di un aeroplano.
Non solo, Alitalia è inoltre titolare di due marchi figurativi costituiti dalla rappresentazione grafica della A stilizzata come di seguito riprodotta:
È sulla base di tali registrazioni che, dichiarando il plagio del loro vecchio logo da parte di Spezzali, Alitalia è scesa in campo presentando opposizione alla registrazione del “nuovo” marchio Ati, il quale, oltre alla evidente ripresa della lettera A che agli occhi di tanti viaggiatori ha rappresentato per anni il simbolo di Alitalia, ha riprodotto la dicitura ATI AEREO TRASPORTI ITALIANI.
“Il nuovo marchio Ati è praticamente identico a quello della società che fu controllata da Alitalia – chiarisce Nadia Adani – ad esclusione dei colori, la cui tutela è comunque garantita dalla registrazione in bianco e nero che non rivendica alcuna particolare cromia. Da qui la scelta di Alitalia di fare appello all’articolo 12 del Codice della Proprietà Industriale, chiedendo all’UIBM il rigetto della domanda di marchio della “nuova” Ati; la somiglianza della “A”, infatti, unita all’identità dei servizi delle parti coinvolte, sarebbe tale da creare un serio rischio di confusione per il pubblico (art. 12. 1 d) Cpi) e, siccome il marchio anteriore (quello di Alitalia) gode tuttora di una discreta notorietà, l’uso di questo segno senza giusto motivo da parte di Spezzali rischierebbe di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo e dalla rinomanza del marchio “originale” (art. 12. 1 e) Cpi)”.
Spezzali però, citando la legge sui marchi, si è appellato al fatto che, dopo 5 anni di mancato utilizzo di un marchio, il titolare dei diritti di PI perde qualsiasi esclusiva sull’utilizzo del nome o del logo in questione, che dunque possono essere liberamente “ripresi” da chiunque.
Non solo: a intricare ulteriormente la matassa c’è il fatto che il marchio Alitalia (insieme alla sua “A”) è stato venduto lo scorso ottobre alla neonata compagnia aerea di bandiera, Ita Airways, che al momento non avrebbe dichiarato alcuna intenzione di entrare in questa disputa.
Discorso chiuso, quindi, con il via libera per la nuova Ati all’utilizzo di questo marchio?
Nemmeno per sogno, perché se è vero che la vecchia Ati non esiste più, la A stilizzata è ancora chiaramente visibile sugli aerei in abbinamento alla scritta Alitalia.
Ecco perché, il fatto che la nuova Ati abbia ripreso l’aspetto grafico della “A” di Alitalia, lascia ancora un discreto margine di manovra alla ex compagnia aerea di bandiera per bloccare questa registrazione – prosegue Nadia Adani –. A questo punto, i prossimi step prevedono che Alitalia venga chiamata in primis a dimostrare l’utilizzo della sua “A”, relativamente al settore dei trasporti, nell’arco dei 5 anni che precedono la nuova domanda di registrazione di Spezzali (ovvero dal 2015 al 2020). Se dovesse riuscirci, Ati dovrà, giocoforza, trovare un nuovo simbolo su cui puntare”.
E se così non fosse?
Per tutelare i diritti di Alitalia esisterebbe comunque un “piano B”. “Laddove l’ex compagnia di bandiera non fosse in grado di fornire sufficienti prove di utilizzo, l’ufficio competente non potrebbe fare altro che confermare la registrazione del nuovo marchio Ati Aereo Trasporti Italiani, rigettando l’opposizione di Alitalia in quanto non fondata – chiarisce Nadia Adani -. Quella che sembrerebbe assumere i contorni di una sconfitta, tuttavia, potrebbe avere risvolti inaspettati se Alitalia decidesse di agire in giudizio a difesa dei propri diritti. Come più volte affermato dalla Corte di Giustizia, infatti, anche se un segno anteriore non è stato utilizzato nei 5 anni previsti dalla legge, il fatto che lo stesso continui a vivere nel ricordo del pubblico di riferimento non può non avere un valore”.
“È infatti possibile che, anche nel caso di una registrazione scaduta (e non rinnovata) o di una decadenza, il marchio, in presenza di una residua notorietà del segno, goda comunque di una forma di protezione che, sebbene affievolita, potrebbe precludere la nuova registrazione da parte di terzi soggetti”, continua Adani. In questo caso, quindi, da un lato il mancato utilizzo del marchio da parte di Alitalia comporterebbe l’estinzione dei suoi diritti di esclusiva, ma dall’altro la persistente notorietà della sua “A” nella mente del pubblico porterebbe anche alla nullità della registrazione di Spezzali, che potrebbe essere giudicata “in malafede”, in quanto effettuata allo scopo di trarre un indebito vantaggio dalla notorietà “residua” del marchio anteriore.
“Il primo periodo di conciliazione tra le parti è scaduto lo scorso 8 dicembre – conclude Nadia Adani -, anche se c’era la possibilità di prorogare questa scadenza per un massimo di un anno, dunque fino alla fine del 2022. A questo punto, se le parti non avranno trovato alcun accordo, si aprirà ufficialmente la fase del contraddittorio e, in caso di sconfitta, Alitalia potrebbe ancora giocarsi il piano B in sede giudiziale, promuovendo l’azione di nullità del marchio Ati, depositato in malafede”.
Nonostante le apparenze, dunque, il caso rimane più aperto che mai, e questa sentenza in futuro potrebbe rappresentare uno spartiacque importante per casistiche di questo tipo.
© BUGNION S.p.A. – Febbraio 2022