Articolo pubblicato in Bugnion News n.28 (maggio 2018)

Non è difficile immaginare, in un futuro neanche troppo lontano, di poter assistere o essere protagonisti di scenari di business del tipo che andremo a descrivere qui di seguito, afferenti al mondo della proprietà intellettuale.

Tali scenari discendono dall’applicazione della blockchain all’ambito di cui sopra e sarebbe incorretto ricondurli ad una mera realtà distopica perché, a nostro avviso, i vantaggi che possono derivarne sono innumerevoli e reali.
Un primo risultato potrebbe esplicarsi attraverso una tutela più pregnante dei titoli di PI, per mezzo del rapido tracciamento di tutti gli eventi rilevanti che interessano il loro intero ciclo di vita, tra cui, ad esempio: deposito, pubblicazione, registrazione, pagamento delle tasse, trascrizioni, transazioni, inizio dell’uso effettivo di un marchio, etc.
La blockchain, infatti, consente alle informazioni di essere archiviabili, registrabili e trasferibili con un grado di certezza praticamente assoluto e di essere insuscettibili di alterazione, con evidenti vantaggi rispetto ai tradizionali database. Si parla, a tal proposito, di “SMART IP rights” in “SMART IP registries”. [1]
Ciò avviene perché nella blockchain viene inserita un’impronta digitale univoca, tramite l’inserimento del dato concernente il titolo di PI sotto forma di stringa numerica (cd. hash value), il quale costituisce una inalterabile certificazione.
In estrema sintesi, tale inalterabilità discende dall’attuazione della tecnica del cd. “Merkle hash tree”: si tratta di un albero binario che consente di salvare una serie infinita di hash value, tutti facenti capo ad un singolo hash valueche funge da archivio generale. Le foglie dell’albero Merkle sono gli hashes di singoli blocchi della blockchain. I dati delle transazioni saranno verificati e dovranno risultare identici tra tutti i computer contenenti i blocchi per poter essere approvati dal registro. Maggiori dettagli in merito verranno comunque esposti di seguito.
Il meccanismo sopra descritto garantirebbe numerosi benefici, tra i quali una evidente semplificazione della raccolta di prove attestanti le vicende relative a ciascun titolo di PI (comprese le importanti prove d’uso del marchio, indispensabili per far fronte ad eventuali azioni di cancellazione di terzi) con conseguente facilitazione della redazione di due diligence, indispensabili nelle operazioni societarie.
Occorre segnalare che tra le autorità intermediarie con compiti di certificazione si avverte, ad oggi, una naturale ritrosia ad accettare l’ingresso di questo sistema innovativo.
Tuttavia, alcuni pubblici ufficiali hanno aderito ad un approccio più aperto a questa nuova tecnologica e si sono resi disponibili a gestire essi stessi la blockchain nei settori di pertinenza. Ad esempio, si segnala che nell’ottobre 2017 si è svolto a Palermo il Congresso Nazionale del Notariato, il quale ha dato il via alla cd.“NOTARCHAIN”, la blockchain certificata dei notai. Con tale sistema, le autorità di intermediazione, consapevoli della irrinunciabilità al nuovo mezzo di gestione delle transazioni, si sono ritagliate comunque un ruolo, salvandosi dalla loro stessa estromissione. Si legge che con Notarchain, non solo viene assicurata la certezza della immodificabilità dei dati inseriti (garanzia ontologica alla blockchain), ma viene altresì eseguito un controllo preventivo sull’identità dei soggetti coinvolti, nonché sulla correttezza e completezza dei dati stessi inseriti nella catena. Il compito di dette attività è, pertanto, quello di sopperire a funzioni di certificazione che, allo stato corrente, non sono esperibili tramite la nuova tecnologia. [2] Tale aspetto potrebbe avere una certa rilevanza anche nel settore della proprietà intellettuale.
In una prospettiva più utopica, si segnala che alcuni indiscutibili vantaggi potrebbero derivare dall’applicazione della blockchain alla procedura di cd. filing and prosecution dei titolo di proprietà industriale.
I benefici consistenti si potrebbero rilevare con riferimento al settore specifico dei brevetti. Invero, il rilascio di un titolo brevettuale, richiede degli investimenti non trascurabili per i titolari dei diritti di proprietà industriale sulla relativa invenzione, soprattutto a causa dell’intermediazione richiesta ad autorità incaricate di analizzare dette domande.
Alcuni sostengono, addirittura, che attraverso la blockchain, con il conseguente superamento dell’attività di intermediazione di autorità esaminatrici, sarà presto possibile ottenere il rilascio di brevetti di una “qualità” tale da poter essere tendenzialmente esenti da contestazioni da parte di terzi.
Allo stato attuale, tuttavia, si segnala che la struttura della blockchain non è tale da poter sostituire il giudizio umano e, quindi, l’attività dei professionisti chiamati a valutare la sussistenza dei requisiti per accedere alla tutela. Infatti, la blockchain odierna si basa su semplici risposte automatiche ad input dati dall’inserimento di codici sotto forma di hash value. Tale modalità di funzionamento non è ancora tale da poter prendere in considerazione le peculiarità effettive del caso concreto (es. confondibilità del marchio richiesto con i marchi anteriori, interferenza del brevetto richiesto con brevetti preesistenti, sussistenza del requisito dell’inventive step nell’invenzione di cui si chiede la brevettazione, etc.)
Mentre quello sopra descritto è uno scenario che, allo stato attuale, risulta ancora ipotetico, si segnala, invece, la concreta adozione del network della blockchain al settore del Diritto d’Autore.[3] Anche in questo caso, peraltro, alla tecnologia non viene assegnato il compito di sostituire l’attività valutativa umana.
Tale sistema consente la creazione di un database digitale unico, diffuso a livello globale, ma allo stesso tempo decentrato, l’iscrizione al quale consente di attestare la paternità della propria opera, superando la complessità ed i limiti delle procedure ad oggi in essere.
La trasparenza, ma, allo stesso tempo, l’impossibilità di alterare i dati relativi all’opera d’arte in questione, che è resa nota a livello globale assieme ai dati del suo autore, rende praticamente impossibile qualsiasi suo sfruttamento indebito.
Il frutto di tale semplificazione è senz’altro un aumento di investimenti degli operatori sulle risorse di proprietà industriale, con il contestuale scavalcamento delle autorità quali la SIAE.
Inoltre, si segnala la promettente attuazione della blockchain al controllo della circolazione dei prodotti fisici che incorporano detti titoli di PI, la quale può avere importanti risvolti anche in termini di enforcement.
Infatti, il registro pubblico alla base della blockchain, con la sua peculiare trasparenza e garanzia di autenticità, dovrebbe contenere i dati dei soggetti autorizzati ad utilizzare i diritti di PI (titolari, licenziatari, distributori, etc.) ed attestanti la provenienza degli articoli riportanti determinati marchi o incorporanti determinati brevetti/design/copyright, etc.. Ciò consentirebbe una verifica più efficiente dell’autenticità e della legittimità degli articoli identici o simili in circolazione sul mercato e/o della relativa composizione.
Inoltre, tale modalità di impiego, permetterebbe una più efficiente interazione tra i soggetti coinvolti nella transazione.
Si pensi al caso in cui un articolo, di cui sono tutelati vari aspetti mediante brevetti di vari produttori, viene venduto e passato al lettore di un codice a barre di una cassa di un supermercato a cui è stato fornito, e una certa percentuale del suo prezzo di vendita viene automaticamente ed istantaneamente inviata in qualità di royalty ai titolari dei differenti brevetti.
La cassa è infatti interfacciata con uno “smart contract”, a cui vengono inviati i dati inerenti alla transazione, che provvede a movimentare prescelte valute elettroniche fra il supermercato ed i titolari del brevetto in modo automatico e secondo prestabilite percentuali, sulla base di quanto scritto nel codice software dello “smart contract”.
Il titolare di un brevetto incassa quindi le royalties di un brevetto o di un marchio istantaneamente, nel momento in cui avviene la vendita al consumatore.
Nello stesso momento, una macchina utensile, interfacciata con uno “smart contract”, realizza un pezzo tutelato da un design ed esegue, automaticamente, il pagamento di una royalty al titolare del design mediante lo spostamento di una valuta elettronica.
Il motore di questa futuristica innovazione risiede proprio negli “smart contract”: codici software che vengono eseguiti in modo automatico e sicuro da un sistema decentralizzato, quale il sistema informatico basato su una blockchain, e che pongono in attuazione condizioni contrattuali stabilite fra le parti.
Tali codici software contengono tutte le istruzioni per eseguire in modo automatico e deterministico (ovvero a fronte dei medesimi ingressi producendo sempre gli stessi risultati) determinate attività elettroniche (e.g. il trasferimento di asset, di valute, la scrittura di informazioni), implementando a livello esecutivo la volontà negoziale espressa dalle parti.
E, per garantire la necessaria fiducia nel meccanismo, è necessario “il consenso” di un sistema decentralizzato che non può essere modificato da nessuna delle parti coinvolte né da terzi: una piattaforma che sia impossibile da manomettere e da “disattivare”.
L’idea degli “smart contract”, così di attualità e destinata a cambiare molti aspetti della nostra società, è in realtà tutt’altro che recente, e la paternità dell’idea è del ricercatore esperto in criptografia Nick Szabo, che nell’oramai lontano 1996 ha pubblicato sulla rivista Extropy l’articolo “Smart Contracts: Building Blocks for Digital Markets” contenente l’idea ed i principi teorici alla base dei moderni “smart contract”.
Scriveva infatti allora Nick Szabo:
“Computers make possible the running of algorithms heretofore prohibitively costly, and networks the quicker transmission of larger and more sophisiticated messages. Furthermore, computer scientists and cryptographers have recently discovered many new and quite interesting algorithms. Combining these messages and algorithms makes possible a wide variety of new protocols. 
New institutions, and new ways to formalize the relationships that make up these institutions, are now made possible by the digital revolution. I call these new contracts ‘smart’, because they are far more functional than their inanimate paper-based ancestors. No use of artificial intelligence is implied. A smart contract is a set of promises, specified in digital form, including protocols within which the parties perform on these promises. “.
Se nel 1996 l’idea di base degli Smart Contract era già stata formalizzata, la tecnologia dell’epoca non era certamente matura ed è solo con il recente avvento della tecnologia blockchain che si è riusciti a soddisfare quell’ultimo requisito mancante – ma così essenziale – per far vivere davvero nel mondo reale gli “smart contract”: la garanzia dell’immutabilità e dell’impossibilità di alterazione del codice (il codice infatti di uno smart contract è vera e propria legge: “Code is law”).
Come anticipato, la blockchain consente infatti di eseguire, in maniera decentralizzata fra tanti nodi (spesso distribuiti fra vari paesi), gli “smart contract” e ne impedisce la manipolazione ovvero la modifica del codice: ed è proprio la decentralizzazione della blockchain, ovvero l’assenza di un ente centrale (potenzialmente “attaccabile”) che crea il necessario meccanismo di immutabilità e fiducia alla base di uno “smart contract”.
Da quanto sopra si evince che il vantaggio competitivo della blockchain, rispetto ai sistemi attuali, risiede soprattutto nella sua peculiarità di essere uno strumento diffuso e trasparente, accurato ed immutabile.
Diffuso perché, come si legge nel paragrafo precedente, è costituito da un registro informatico pubblico e condiviso di dati visibili a tutti, che fa della blockchain una vera e propria ‘trust machine’. [4]
Accurato perché il ‘meccanismo della fiducia’ verifica ogni dato che fa parte del registro pubblico ed immutabile in quanto basato sulla criptografia.
Su queste basi si apre la nuova era del LEGALTECH, che non necessita più di Third Trusted Parties (autorità di certificazione intermedie quali i notai o i registri pubblici tradizionali) e di cui gli smart contracts sono la massima espressione. [5]
Peraltro, è nostro dovere segnalare che, sebbene molti di noi nutrano delle aspettative considerevoli in merito a questo nuovo strumento di transazione, ad oggi, esso si trova ancora ad uno stato rudimentale.
Nonostante la blockchain consenta dei fenomeni di automatizzazione in numero sempre crescente e sebbene la modalità di interazione degli hash values sopra descritta permetta il superamento delle autorità intermedie con meri compiti di certificazione, non è ancora possibile intravedere la possibilità di bypassare il giudizio umano.
In altre parole, la blockchain è un ‘mero’ (si fa per dire) registro pubblico in cui vengono immessi dei contratti predisposti e negoziati dalle persone fisiche sotto forma di un hash value avente valore legale.
Il contenuto delle singole clausole contrattuali, peraltro, non è stato elaborato dal sistema blockchain, ma è il frutto della volontà negoziale delle parti che, preferibilmente con l’aiuto di un consulente legale, hanno predisposto il testo contrattuale prendendo in considerazione tutte le peculiarità della fattispecie concreta.
Per fare un esempio concreto, inerente al settore della proprietà industriale, si pensi alla volontà del titolare di un marchio di concedere una licenza esclusiva d’uso dello stesso marchio ad un distributore di determinati prodotti.
Ad oggi, il titolare del marchio ed il distributore/licenziatario hanno la possibilità di contrattare in autonomia il contenuto negoziale dell’accordo di licenza. Una volta predisposto il testo contrattuale, questo potrà essere inserito nella blockchain sotto forma di smart contract, le cui clausole, in veste di codici crittografici, saranno lette da un hardware che ne controllerà la relativa esecuzione.
Tale tipo di accordo diviene così irrevocabile. Significa, cioè, che una volta sottoscritto dalle parti ed inserito nella blockchain, esso può essere risolto e/o modificato dalle parti fino alla completa esecuzione che, in alcuni casi come i pagamenti delle royalties, potrebbe avvenire in modo del tutto automatico. Allo stesso modo, come negli scenari descritti sopra, sarà possibile verificare il rispetto dell’esclusività della licenza concessa da parte del licenziante.
Tuttavia, tale avanguardistico network non è ancora in grado di simulare il giudizio umano per la formulazione automatica di un accordo che risulti quanto più conforme possibile agli interessi di entrambe le parti contrattuali e, magari, perché no, interpreti le clausole contrattuali sulla base dei principi previsti dalla normativa di riferimento (es. in conformità con la comune intenzione delle parti, secondo buona fede, equità, etc.) ed in conformità con gli indirizzi giurisprudenziali (preferibilmente maggioritari) pertinenti.
Tale momento, peraltro, non sembra essere lontano. Tra tribunali elettronici ed algoritmi in grado di comporre le vertenze,[6] le professioni legali hanno un’area di azione sempre più circoscritta. L’intelligenza artificiale sarà presto in grado di formulare accordi sempre più personalizzati ed i legali non possono che esserne felici: si risparmieranno infinite e estenuanti sessioni di negoziazioni tra i contraenti!

© BUGNION S.p.A. – Maggio 2018


[1] http://www.wipo.int/wipo_magazine/en/2018/01/article_0005.html
[2] Per maggiori approfondimenti, si invita a consultare: Notai: 52° Congresso, al via “Notarchain”, la blockchain certificata dei notai”, in Diritto24.ilsole24ore.com, 13.10.2017
(http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoCivile/2017-10-13/notai-52-congresso-via-notarchain-blockchain-certificata-notai–143724.php)
[3] Ne costituisce un esempio PO.ET (v. https://www.po.et/)
[4] Per approfondimenti si invita a consultare l’interessante articolo ‘ The Trust machine’ nella versione online pubblicata sul sito web di Economist: https://www.economist.com/news/leaders/21677198-technology-behind-bitcoin-could-transform-how-economy-works-trust-machine
[5] A tal proposito, non si può non menzionare la DAO (Decentralized Autonomous Organization), quale esempio di organizzazione il cui funzionamento ed il cui potere esecutivo sono fondati proprio sugli smart contracts. Le transazioni finanziarie compiute all’interno di tale organizzazione e le regole del programma sono conservate in una blockchain, così che ogni transazione viene registrata come un’impronta digitale indelebile online ed è esente da alterazioni, grazie al concetto di ‘timestamp’ (marca temporale) di fiducia e al fatto di essere registrata su un archivio di dati distribuiti.
La DAO è la dimostrazione che, per mezzo di regole condivise tramite smart contracts è possibile decentralizzare un organismo deliberante lasciando il diritto esclusivo di approvare le transazioni finanziarie alle parti contraenti degli stessi smart contracts.
Come abbiamo anticipato, tuttavia, quanto detto risulta difficilmente applicabile alle procedure per il rilascio di titoli di proprietà intellettuale/industriale. Se è più semplice superare l’attività intermedia di mera certificazione (v. notaio), infatti, non è ancora possibile superare quella dell’esaminatore e del suo giudizio di valutazione, prettamente umano.
[6] Ne costituisce un esempio il sistema KLEROS. Per approfondimenti si invita a consultare C.Lesaege e F. Ast, “Kleros”, Short Paper v1.0.5, 2018, consultabile al seguente link: https://kleros.io/