Autore: Silvia Mirenda

Il fallimento di un’azienda è un evento complesso che coinvolge numerosi aspetti legali, finanziari e operativi, e che può travolgere come un uragano tutto ciò che ha contribuito a costruire una data identità aziendale.

Tra i vari beni di valore che possono essere gestiti durante la procedura fallimentare, vi sono anche i cosiddetti beni immateriali che, al pari di ogni altro bene appartenuto all’azienda fallita (si pensi agli immobili o ai macchinari necessari per svolgere l’attività di impresa), rappresentano una risorsa cruciale per il soddisfacimento di eventuali creditori.

Tra questi, particolare menzione meritano i marchi di impresa.

Come noto, un marchio è un segno distintivo che consente di identificare i prodotti o i servizi di un’azienda e di distinguerli da quelli dei concorrenti.

Sono infatti i marchi di impresa che ci consentono di dare un nome a qualcosa di intangibile, di contribuire alla identità di una impresa. E quando una impresa investe nella propria identità, a beneficiarne è, tra gli altri, il valore dei propri segni distintivi. Ed è questo valore che, nel contesto di un fallimento, può rappresentare una risorsa cruciale, contribuendo da un lato significativamente alla massa attiva del fallimento, aumentando le possibilità di risarcire i creditori, e dall’altro lato, e ben più significativo ruolo, facilitando la vendita dell’intera attività aziendale (o di parti di essa) come attività in funzionamento, favorendo la continuità dell’azienda stessa.

In alcuni casi poi, l’importanza e il ruolo di un marchio si elevano, divenendo veri e propri simboli.

Si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso negli ambienti sportivi. Si pensi ai tifosi di una squadra di calcio che ripongono fiducia in questa incondizionatamente – tendenzialmente per la vita – nonostante i cambiamenti che fisiologicamente ne interessano la struttura (giocatori, allenatore, risultati in campo), finanche il fallimento.

E’ quello a cui nelle ultime settimane abbiamo assistito con il caso del marchio di una storica società calcistica italiana, il ChievoVerona, il cui recente acquisto ha ridato speranza di una rinascita alla società e di fiducia ai tifosi. Facciamo un passo indietro.

Il ChievoVerona, la cui fondazione risale al 1929, ha affrontato gravi difficoltà finanziarie che hanno portato al suo fallimento nel 2022. La sua esclusione dai campionati professionistici, e la crisi economica che ha costretto il club a ripartire dalle serie dilettantistiche, ha lasciato un vuoto nel cuore dei tifosi e nella comunità sportiva veronese.

E’ negli stessi anni che nasce una nuova piccola realtà sportiva sul territorio, la Football Club Clivense, fondata dall’ex capitano del ChievoVerona, Sergio Pellissier, con l’obiettivo, come da lui stesso riferito in molte delle interviste rilasciate, di ridare speranza ai tifosi ripartendo da zero (basti pensare che in soli tre anni la FC Clivense passa dalla terza categoria alla serie D).

Il cerchio si chiude quando il 10 maggio 2024 Sergio Pellissier riesce ad aggiudicarsi l’asta fallimentare per l’acquisizione del marchio del ChievoVerona.

Non è solo un investimento finanziario, ma un vero e proprio atto d’amore e di responsabilità verso il club. In questo contesto, il ruolo giocato dal marchio della società offre una visione chiara su come un bene immateriale possa avere un impatto significativo in tali situazioni.

Non si tratta infatti solo di un simbolo distintivo della squadra, ma rappresenta anche anni di storia, successi sportivi, tifosi fedeli e un’identità unica nel calcio italiano, riconosciuto non solo dai tifosi locali, ma anche a livello nazionale e internazionale, contribuendo in termini di reputazione e identità. La stessa fede che i tifosi ripongono in questo nome è un asset prezioso nell’ambito del rilancio di una squadra.

Questo perché, nonostante il fallimento, il marchio mantiene un valore economico dovuto alla sua notorietà e alla possibilità di generare entrate attraverso (anche) merchandising, sponsorizzazioni e diritti televisivi.

E’ quindi evidente come nel caso di specie il marchio eleva la propria funzione divenendo lo strumento che mancava per il rilanciare la squadra sotto una nuova gestione, il ponte necessario per unire il passato al futuro, consentendo, nonostante il fallimento, la sopravvivenza della società.

Ma cosa accade ad un marchio registrato al momento del fallimento?

In primo luogo, è necessario effettuare una valutazione del marchio per determinarne il valore economico. Questo processo tiene in considerazione diversi fattori, e va applicato al caso concreto. Per mantenere l’esempio delle società calcistiche, tra i vari fattori che possono rilevare vi sono la notorietà del marchio, il numero di tifosi e il potenziale di mercato.

In secondo luogo, è necessario preservare tale valore, perché è grazie ad esso che si dà la possibilità di una continuità all’attività di impresa, dal momento che i marchi possono divenire simboli di fiducia per il pubblico di riferimento, portando con sé l’avviamento e il valore ottenuti con gli anni.

Questo perché un marchio ha un valore economico e patrimoniale che va oltre la durata della società: si tratta di un investimento, e quindi è importante sempre tutelarlo al meglio e valorizzarlo nel migliore dei modi. I marchi, infatti, non sono solo simboli distintivi di un’azienda, ma possono anche rappresentare un patrimonio significativo in termini di valore economico e reputazione sul mercato.

Questa la ragione per cui Pellissier, a distanza di qualche settimana dall’acquisto, ha comunicato la decisione di fondere insieme le due realtà: il nome ChievoVerona e i colori della Clivense (bianco-azzurro). L’AC ChievoVerona (ex FC Clivense) debutterà il prossimo anno in serie D.

Un esempio, altrettanto recente, è quello della società calcistica Us Città di Palermo, dichiarata fallita nel 2019. Nonostante la riassegnazione del titolo alla società Hera Hora avvenuta poco dopo, non era stato possibile acquistare il vecchio marchio e la nuova società aveva pertanto dovuto cambiare denominazione (PALERMO F.C.) ed elaborare un nuovo marchio.

Ma riappropriarsi dello storico logo del Palermo era fondamentale i) per evitare che altre società calcistiche potessero appropriarsene (famoso il caso FC MESSINA, con la tifoseria spaccata a metà tra la vecchia proprietaria del marchio e chi aveva rilevato il titolo sportivo dal fallimento) e ii) per poterlo liberamente utilizzare ai fini di marketing e attività promozionali ed elogiative della sua storia (il Daily Mail nel 2016 ha annoverato il logo del Us Città di Palermo fra i venti stemmi più belli al mondo). In conclusione, i marchi rappresentano un asset fondamentale sempre, ma ancor di più nel contesto del fallimento aziendale. La loro gestione efficace può contribuire significativamente alla soddisfazione dei creditori e, in alcuni casi, alla sopravvivenza dell’attività aziendale. È essenziale che i curatori fallimentari e i legali coinvolti abbiano una profonda conoscenza delle dinamiche dei marchi e delle leggi applicabili per massimizzare il valore di questi beni durante la procedura fallimentare