Articolo pubblicato in Bugnion News n.33 (Marzo 2019)
In questi mesi di bizzarrie politico/economiche, declassamenti delle società di rating ed emissioni di statistiche che ottimisticamente potremmo definire altalenanti, il nostro sistema industriale continua comunque a reggere l’impatto, profondendosi in continui sforzi di ottimizzazione ed innovazione: questo continuo impegno è sicuramente lodevole (del resto, competere sull’innovazione è fondamentale!), ed è altrettanto lodevole il continuo supporto dei numerosi aiuti dedicati ad instaurare meccanismi virtuosi per chi investe in questa direzione di innovazione.
Tra le iniziative a supporto delle imprese innovative, ve ne è una particolarmente interessante, sia per il suo aspetto multidisciplinare che per le notevoli performance economiche che permette di raggiungere (e non dimentichiamoci nemmeno di alcuni risvolti fiscali altrettanto interessanti!). Si tratta del Patent Box, che dopo un avvio tormentato è ormai da considerarsi a pieno regime e vede la partecipazione di moltissime aziende richiedenti.
Perché il Patent Box è così interessante? Beh…in primo luogo, perché consente di dare una correlazione oggettivo/quantitativa all’annosa questione del valore della Proprietà Intellettuale (un aspetto materiale di un oggetto immateriale!), e perché partendo da questo valore ne estrae un vantaggio economico reale.
Come riesce il Patent Box a compiere questo miracolo? il Patent Box è un’agevolazione (introdotta in Italia con il decreto MISE/MEF del 29 agosto 2015) in termini di tassazione sui redditi derivati dall’uso delle «opere di ingegno» (o «asset IP») come ad esempio brevetti, software, disegni e modelli, e know-how. Per chi aderisce a questo regime fiscale, sussiste sui redditi derivati dall’uso di opere di ingegno la possibilità di dedurre il 50% di tasse dirette (IRES/IRAP e altre abominevoli sigle di tal famiglia).
Nella sua maturazione a partire dai precedenti anni di collaudo ed assestamento, il Patent Box tricolore ha dovuto ahimè allinearsi alle direttive dell’OCSE, abbandonando per strada i redditi derivanti dai marchi – asset molto importanti per tanti settori produttivi nazionali ma spesso legati a discorsi non propriamente legati all’innovazione tecnologica. In compenso però, il nostro Patent Box ha potuto raggiungere una piena operatività in termini di competenza dei funzionari preposti, numero di istanze valutate e chiuse e di correttezza ed immediata applicazione dei conteggi economici di sgravio fiscale risultante… Il tutto in una inusitata atmosfera di cooperazione costruttiva tra lo staff di esaminatori/valutatori (specificamente assunti e formati dall’Agenzia delle Entrate per le cosiddette istanze di ruling) ed i professionisti che seguono le Aziende Richiedenti nel corso delle istanze di ruling stesse.
È il caso di ricordare che ad oggi le tipologie di asset IP che danno accesso al Patent Box sono le seguenti:
– Software protetto da copyright;
– Brevetti industriali, brevetti invenzioni e invenzioni biotecnologiche, modelli di utilità;
– Certificati di specie vegetali;
– Topografie di prodotto a semiconduttori;
– Disegni e modelli tutelabili a livello giuridico; e
– Informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, informazioni scientifiche protette da segreto e giuridicamente tutelabili (amichevolmente, il cosiddetto know-how).
L’ultima voce dell’elenco appena fatto è particolarmente importante, giacché offre una concretissima possibilità di agevolazione a quelle Aziende che per loro modus operandi o per il settore in cui si muovono non possono o non vogliono avere accesso alla brevettazione, ma che oggettivamente hanno un vantaggio competitivo misurabile proprio grazie al fatto che fanno le cose per bene!
Come calcolare il beneficio del Patent Box? La risposta è concettualmente semplice, essendo lo sgravio fiscale correlato alla quota di reddito derivante dall’utilizzo degli asset di proprietà industriale della Richiedente.
Pertanto, essendo noti diversi criteri empirici per eseguire il calcolo di questa quota di reddito, risulta poi facile applicare la formula di base del Patent Box ed avere l’agognato valore netto di sgravio fiscale, giudicato peraltro congruo dalla stessa Agenzia delle Entrate che così si trova ad avere un perfetto quadro delle attività e delle capacità reddituali della Richiedente stessa. L’Agenzia delle Entrate concede così in cambio benefici fiscali che nei casi più eclatanti arrivano attorno al milione di euro all’anno.
Naturalmente, al pari della scala per il paradiso, ci sono degli scalini da superare, e tali scalini sono dovuti all’applicazione dei criteri empirici appena richiamati. I metodi impiegati non sono una scienza esatta e la loro corretta applicazione richiede molta cura ed un adeguato tempo di preparazione.
Il calcolo dello sgravio, per avere il massimo risultato, deve inoltre tener conto della trasversalità degli asset IP sulla maggior parte possibile del fatturato aziendale (e molto preferibilmente, su tutto il fatturato), nonché della loro complementarietà. Quest’ultima caratteristica è, in pratica, verificata quando asset IP di tipo diverso (brevetti, design e know-how, ad esempio) concorrono sinergicamente tra loro nel determinare il valore aggiunto e quindi si prefigurano fiscalmente come un unico macro-bene immateriale sgravabile fiscalmente.
I criteri di trasversalità e di complementarietà da una parte rendono un’istanza di Patent Box più semplice qualora si disponga di asset IP di tipo registrato e/o depositato (questo per via della facile identificazione degli asset IP stessi), ma dall’altra rischiano di diminuire di tanto il risultato economico ottenibile: ecco quindi che il ricorso al know-how, che in genere è un tipo di asset (laddove esiste ed è associato a costi significativi) altamente trasversale.
In più, oltre alla trasversalità, non è infrequente il caso in cui il know-how è anche un eccellente fattore in pro del vincolo di complementarietà, ed in casi ancora più eclatanti il know-how può anche riguardare unità funzionali/operative non strettamente tecniche dell’organizzazione aziendale della richiedente!
La valutazione del know-how durante il ruling con l’Agenzia delle Entrate è molto accurata: è quindi necessario predisporre una relazione tecnica descrittiva completa, comprensibile e correlabile con chiarezza ai fattori di costo. Tale relazione tecnica, per quanto complessa nella stesura e nella preparazione, è comunque oggi ben accettata dall’Agenzia delle Entrate e come detto qui sopra risolve spesso complicazioni di calcolo e massimizza anche il risultato ottenibile.
Al netto delle complessità di implementazione e di gestione, le istanze di ruling per il Patent Box possono ben rendere il mercato italiano maggiormente attrattivo per gli investimenti nazionali ed esteri di lungo termine, tutelando al contempo la base imponibile italiana: in aggiunta a ciò, incentivano il mantenimento dei beni immateriali in Italia, evitandone la ricollocazione all’estero ed incentivano in parallelo la ricollocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere (queste ultime di fatto potrebbero trovare nel Patent Box un motivo per tornare ad investire nel nostro Paese).
Come si è visto, e come si vede tuttora, l’iniziativa del Patent Box è una ottima notizia ed una realtà consolidata, e la speranza è che venga presto affiancata da altre misure sistemiche che portino l’Italia a riguadagnare competitività: merita quindi fiducia ed attenzione.
© BUGNION S.p.A. – Marzo 2019