Autore: Anna Surace

La rivoluzione tecnologica protagonista dell’attuale periodo storico ha dato il via all’avvento di una nuova era, quella della Intelligenza Artificiale.

Gli studi in materia sono progrediti al punto che è possibile, ad oggi, riscontrare la presenza di androidi abili nello svolgimento di attività che sono state sempre e soltanto compiute dall’essere umano.

Se pensiamo, in particolare, che esistono macchine altamente sofisticate in grado di produrre dipinti o brani musicali oggettivamente indistinguibili dalle produzioni umane, risulta chiaro che l’impatto dell’Intelligenza Artificiale (IA) sul diritto della Proprietà Intellettuale e, in particolare, sul Diritto d’Autore è notevole e destinato ad essere sempre più significativo.

Intelligenza artificiale – Deep Learning

John McCarthy, uno dei padri fondatori dell’intelligenza artificiale, nel 1955 definiva tale disciplina come il processo “consistente nel far sì che una macchina si comporti in modi che sarebbero definiti intelligenti se fosse un essere umano a comportarsi così”.

L’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO) definisce l’IA nel contesto della Proprietà Intellettuale come una “disciplina dell’informatica che mira a sviluppare macchine e sistemi in grado di svolgere compiti che si ritiene richiedano l’intelligenza umana”,con un intervento limitato o nullo da parte dell’uomo.

Il cuore di un sistema di IA è il suo algoritmo di ragionamento/elaborazione delle informazioni, che prende come input i dati provenienti dai sensori e propone un’azione da intraprendere, dato l’obiettivo da raggiungere.

Tra le tecniche che più destano l’attenzione del giurista esperto di IP, vi sono quelle basate sull’apprendimento automatico (tra cui: machine learning o deep learning).

Il deep learning, in particolare, è quella forma di apprendimento automatico che permette ai sistemi informatici e digitali di apprendere informazioni in maniera più profonda, proprio come accade nei processi di apprendimento umano, con lo scopo di ridurre in modo più efficiente il margine di errore nelle attività che l’uomo si appresta a compiere.

Per rendersi conto di ciò che ha consentito di “creare” tale tecnica, si pensi al robot a quattro braccia  “Shimon”, realizzato da Gil Weinberg, direttore del Georgia Tech’s Center for Music Technology ad Atlanta, capace di scrivere e di comporre brani musicali suonando la marimba, dopo aver ascoltato diversi generi musicali tra cui pop, rock, classica e jazz e oltre 5.000 canzoni da Beethoven ai Beatles a Lady Gaga, oltre a due milioni di motivi musicali che hanno aiutato il robot a distinguere le diverse note musicali.

Non da meno è Xiaoice, un chat bot sviluppato da Microsoft che ha realizzato la prima raccolta di poesie scritta da una macchina dotata di intelligenza artificiale[1].

O ancora, Busker, un robot-pittore creato, a partire dal 2015, da Paolo Gallina, professore di meccanica applicata e robotica all’Università di Trieste, che è in grado di realizzare opere d’arte con acquarelli a gouache.

Quali (possibili?) tutele ai sensi del diritto d’autore?

Innanzi a tali sorprendenti progressi dell’intelligenza artificiale, risulta spontaneo porsi alcuni interrogativi sul piano giuridico con l’intento di individuare possibili soluzioni.

In primo luogo, il prodotto delle intelligenze artificiali può soddisfare i requisiti quantomeno minimi di creatività previsti dalla legge ai fini della tutela di diritto d’autore?

Come si è visto, trattandosi in molti casi di opere paragonabili a quelle realizzate dall’uomo e tutelate dagli artt.1-2 l. aut., sembrerebbero non ravvisarsi impedimenti ad una risposta positiva a tale primo quesito, purché si tratti di opere ‘originali’.

Ciò detto, però, ci si deve chiedere in che termini possa essere concepita la tutelabilità a livello autorale di un’opera derivante da una macchina, ciò in particolare, tenendo a mente che, sul piano giuridico, le normative di settore (siano esse interne, comunitarie o internazionali) sembrano tutte subordinare la tutela giuridica di un’opera al requisito che essa sia frutto del genio ‘creativo’ umano.

Degna di approfondimento risulta pertanto una seconda (non meno importante) questione, ovvero: chi può/deve essere riconosciuto come autore di tali opere? A chi attiene la titolarità dei diritti patrimoniali sulle opere realizzate da IA?

Uno sforzo interpretativo, in attesa di un intervento legislativo, appare doveroso al fine di evitare effetti dirompenti sul mercato della creatività e dell’innovazione che deriverebbero dal prevedere che le opere realizzate da robot cadano nel pubblico dominio.

Ci si chiede, pertanto, se possa avere senso applicare, rivisitandolo, il principio per cui l’acquisto a titolo originario dell’opera realizzata nell’ambito di una prestazione di lavoro avviene in capo al datore di lavoro e quindi, per tale via, individuare il titolare dei diritti di sfruttamento economico nel programmatore o nell’utilizzatore del sistema di IA.

O ancora, se possa ipotizzarsi che la titolarità di questi ultimi venga riconosciuta sulla base di un adattamento della disciplina delle ‘opere collettive’ o delle ‘opere composte’, entrambe caratterizzate da una logica di ‘scissione’ della titolarità dei diritti d’autore posto che, in tali ipotesi, l’autore che detiene i diritti morali è soggetto diverso da chi possiede i diritti di sfruttamento economico.

Si potrebbe altrimenti elaborare un nuovo ‘diritto connesso’ sui generis facente capo al produttore di opere connotate da un livello minimo di creatività che siano frutto di un procedimento autonomo di IA?

Ciò evidentemente sempre che tali previsioni riescano ad inserirsi nel regime previsto dal nostro ordinamento senza comportare eccessive deroghe all’impianto del diritto d’autore ad oggi vigente.

Ancor più complessa la questione dei diritti morali d’autore su di un’opera dell’ingegno creata da una IA: l’ascrivibilità alla macchina di tale tipologia di diritti, per loro natura esclusivamente personali e indisponibili, appare difatti davvero ardua.

Non meno importante, infine, la tematica relativa alla individuazione del soggetto responsabile nel caso in cui l’opera realizzata dalla macchina intelligente costituisca plagio di un’opera preesistente.

Alla luce di quanto sopra, parrebbe ragionevole sostenere che il soggetto individuato quale ipotetico titolare dei diritti patrimoniali sia chiamato anche a rispondere nel caso in cui l’opera dell’ingegno, realizzata da una IA, da cui riceve i proventi derivanti dallo sfruttamento economico della stessa, sia qualificata come plagiaria rispetto ad un trovato artistico preesistente.

Concludendo, l’individuazione di alcuni degli interrogativi che la emergente rivoluzione digitale pone circa la natura dei diritti in gioco e il loro campo di applicazione, la relativa titolarità e possibile tutela, richiederà senz’altro un intervento legislativo nel breve periodo, idoneo a rispondere alle esigenze dei soggetti coinvolti e in grado di chiarire se e in che termini l’Intelligenza Artificiale possa in concreto costituire uno strumento di supporto all’attività creativa svolta dall’uomo.


[1] A Brief History of Chatbots, Mgr. Tomáš ZEMČÍK, Department of Social Sciences, VŠB – Technical University of Ostrava, Czech republic