Articolo pubblicato in Bugnion News n.33 (Marzo 2019)
Il contenzioso costituisce una parentesi spesso dolorosa, oltre che costosa, ma talvolta inevitabile, nell’attività imprenditoriale di molti. Cosicché è evidente che l’imprenditore non veda l’ora di porre termine a questo ‘incidente’ nel più breve tempo possibile, auspicabilmente con esito favorevole.
Proprio nelle ipotesi in cui il contenzioso si conclude in senso positivo, oggi più che mai, nell’era in cui la brand reputation vive anche nella dimensione digital e dei social, è avvertita l’esigenza di diffondere con immediatezza il ‘messaggio’ al pubblico, dandone risalto mediatico.
Tuttavia la sensibilità dell’imprenditore oculato (ormai 4.0) deve portare a valutare molto attentamente i contorni della legittimità, prima ancora che dell’opportunità, di quanto si appresta a compiere.
Infatti sono numerose le sentenze che hanno esaminato i profili di liceità, o meno, di una condotta di divulgazione di un provvedimento giurisdizionale, operata dal privato tramite vari canali.
Interessa, in questa sede, comprendere quali siano gli accorgimenti che l’azienda deve prendere per non passare dalla parte del torto ed esporsi a responsabilità per denigrazione o sleale concorrenza.
Altro, e ben diverso, è il caso in cui la pubblicazione (del provvedimento cautelare ovvero di quello che chiude la fase di merito) sia disposta dal Giudice stesso, ex art. 126, Codice della Proprietà Industriale, a seguito di una richiesta della parte. In questa ipotesi, sarà lo stesso giudicante a fissare le concrete modalità di attuazione del suo ordine, normalmente precisando su quali bollettini o riviste (cartacei od on-line) l’ordine deve rimanere in pubblicazione e per quanto tempo. Quindi il margine di errore in tal caso è minimo.
Maggiori insidie invece si presentano quando la divulgazione prescinde da un’autorizzazione giudiziale espressa.
E’ fin da subito opportuno chiarire che il semplice fatto di aver ottenuto una sentenza favorevole non autorizza di per sé il privato a darne una conoscibilità generalizzata in modo scriteriato. Si deve infatti rimanere all’interno dei ‘paletti’ determinati dalla legge e dalla giurisprudenza.
Di recente, più esattamente nel febbraio dello scorso anno, la Sezione Specializzata di Impresa del Tribunale di Milano (sentenza 27 febbraio 2018, RG 36084/2014) è tornata sull’argomento, enunciando quali siano i limiti entro i quali deve contenersi una condotta divulgativa, che prescinde da un’autorizzazione giudiziale, per poter risultare lecita.
Al di fuori di questi limiti, possono sussistere gli estremi di una condotta concorrenziale sleale, quindi illecita e risarcibile.
Nel dettaglio la corte ha richiamato le ordinarie regole di correttezza e buona fede che devono fungere da principi ispiratori generali ed in particolare ha precisato che, affinché la divulgazione sia lecita, deve essere attuata con modi e forme tali da non ingenerare nei terzi una rappresentazione non corretta del contenuto del provvedimento e dell’andamento del giudizio.
Ciò significa che la comunicazione non potrà essere tendenziosa, ma anzi dovrà con chiarezza indicare tutte le circostanze idonee a formare nei destinatari di quella informazione una corretta e precisa opinione, di modo che tutti gli elementi che sul piano obiettivo concorrono a caratterizzare e a dettagliare quella situazione dovranno essere resi noti, con particolare riferimento a quelli che precisano l’ambito e l’intensità di efficacia del provvedimento divulgato.
Quindi detta comunicazione dovrà conformarsi allo scopo di fornire a chi la percepisce tutti gli elementi rilevanti per formarsi un’opinione corretta e completa da una parte sul contenuto del provvedimento e sull’efficacia dello stesso.
Sul piano pratico, quindi si dovrà fare attenzione a riportare con esattezza i termini e le formule menzionati dal giudice ed in ogni caso a non ricostruirli in una maniera tendenziosa, sempre ispirandosi a canoni di obiettività e chiarezza.
In particolare poi si dovrà fare attenzione a che sia ben chiaro per il ricevente se si tratta di una pronuncia intermedia emessa in sede cautelare, oppure di primo, o anche in secondo grado, ma comunque soggetta ad impugnazione, avendo cura che non sia instillata nel ricevente/lettore l’erronea convinzione che si tratta invece di pronunciamento definitivo e non piu’ discutibile.
Un’accortezza in più è rappresentata dal fatto di concentrarsi sulla sola parte dispositiva del provvedimento.
In ultimo (ma non certo per importanza), si pone la questione della privacy dei soggetti coinvolti e, quella correlata, della loro reputazione.
L’accesso alla rete di un numero potenzialmente indiscriminato di soggetti ha posto (e tuttora pone) una serie di problematiche dal punto di vista giuridico fino a poco tempo fa sconosciute, anche in relazione alla divulgazione delle pronunce giurisdizionali.
Con le Banche Date, in ragione degli accessi riservati spesso a pagamento, anche secondo il Garante della Privacy, si era riusciti a trovare un equo bilanciamento degli interessi, da una parte, dei soggetti coinvolti nel contenzioso e, dall’altra, alla diffusione e condivisione dei precedenti tra ‘gli addetti ai lavori’, consentendo la pubblicazione del provvedimento senza ‘censure’ (salvo richiesta di anonimato dell’interessato fatta in pendenza di giudizio).
Oggi i social ed il web pongono nuovi interrogativi, per non aver barriere di accesso, per essere rivolti alla generalità del pubblico e, soprattutto, per essere soggetti ad algoritmi di indicizzazione dei motori di ricerca, che potrebbero ‘linkare’ al nome di una persona, magari tra i primi risultati disponibili, una serie di informazioni correlate al contenzioso, destinate a rimanere on-line per lungo tempo, a sua insaputa e con buona pace del diritto ‘all’oblio’.
Probabilmente, anche alla luce della nuova normativa applicabile in materia di privacy da qualche mese (GDPR), appare doveroso prendere in considerazione l’ipotesi di occultare i dati personali e soprattutto sensibili dei soggetti coinvolti in una causa, per non rischiare di trasformare il successo in Aula di Tribunale in una ‘vittoria di Pirro’.
© BUGNION S.p.A. – Marzo 2019