Articolo pubblicato in Bugnion News n.30 (Settembre 2018)
Li usiamo ogni giorno senza pensarci, per chiamare o scambiare messaggi in chat col nostro telefono, per inviare file tramite email, per ascoltare i brani della nostra playlist in auto o semplicemente mentre guardiamo le serie TV preferite, seduti sul divano di casa. Ogni volta che compiamo una di queste azioni, vengono coinvolte tecnologie tutelate da migliaia di SEP, ossia “Standard Essential Patent”.
Si tratta di brevetti che proteggono tecnologie che sono essenziali per l’implementazione di standard riconosciuti da organismi di normazione (Standard Developing Organization o SDO), quali ad esempio l’Istituto Europeo per gli Standard nelle Telecomunicazioni, (ETSI) oppure la Commissione Internazionale di Elettrotecnica (IEC). In dettaglio, da molti anni, sono diventati cruciali i SEP relativi alla interoperabilità dei dispositivi elettronici, tanto che, per fare un esempio, i brevetti dichiarati essenziali presso ETSI nell’ambito degli standard di comunicazione per la telefonia mobile sono ormai decine di migliaia.
Tra gli standard coperti da SEP ce ne sono molti il cui nome è ormai entrato nel lessico comune come “Bluetooth”, “LTE”, “MPEG”, “HDTV” o “WiFi”.
Un aspetto fondamentale del mondo degli standard essenziali è che un brevetto diventa SEP semplicemente perché il suo titolare lo dichiara tale presso l’SDO competente, che da parte sua non esegue alcuna verifica sulla effettiva essenzialità del brevetto; si tratta in pratica di una sorta di autocertificazione.
In questo contesto, se un’azienda offre sul mercato un prodotto dichiarando che esso rispetta uno standard tecnologico, e su questo esistono uno o più SEP, è un po’ come se si autodenunciasse quale possibile contraffattrice, a meno che non abbia stipulato un accordo di licenza con il titolare dei brevetti. Per questo motivo, gli SDO richiedono che coloro che dichiarano il proprio brevetto come SEP si impegnino a concederlo in licenza, a chiunque ne faccia richiesta, in regime FRAND ovvero “Fair, Reasonable and Non-Discriminatory”, il quale offre garanzie di equità al licenziatario.
Certamente, la conseguenza più temuta da chi offre sul mercato articoli che incorporano tecnologie protette da SEP è quella di subire da parte dei titolari provvedimenti giudiziali, soprattutto d’urgenza o “cautelari”, che ne inibiscano l’attività commerciale.
A questo proposito, si noti che la responsabilità della contraffazione brevettuale grava in capo anche al distributore dell’articolo che sfrutta la tecnologia tutelata. Purtroppo, come dice la Volpe al Piccolo Principe nel romanzo di Saint-Exupéry, “l’essenziale è invisibile agli occhi” perché normalmente un’azienda europea che vende a proprio marchio articoli elettronici non produce da sé i componenti fondamentali dei suoi prodotti, che possono anche essere tecnologicamente molto complessi, ma li acquista da fornitori asiatici che gli consegnano una sorta di “black box”, il cui esatto funzionamento resta ignoto al committente.
Chiaramente, i costi di reverse engineering sommati a quelli di una verifica di non interferenza rispetto a migliaia di SEP non sono alla portata delle tasche di molte delle piccole o medie imprese europee.
Fortunatamente, nel 2015 la Corte di Giustizia Europea ha pronunciato una sentenza che tutela le aziende europee dal rischio di subire una “imboscata giudiziaria” da parte dei titolari di SEP. Questa decisione è arrivata al termine di un contenzioso che ha visto coinvolte Huawei e ZTE, due delle maggiori realtà mondiali nel campo dell’elettronica di consumo.
Nella sostanza, la Corte di Giustizia ha stabilito che, al fine di non incorrere in un abuso di posizione dominante, il titolare di un SEP è tenuto, prima di chiedere un’azione inibitoria, ad avvertire il presunto contraffattore della violazione addebitata e, dopo che il presunto contraffattore abbia confermato la sua volontà di stipulare una licenza a condizioni FRAND, a formulare una relativa proposta scritta. Al presunto contraffattore spetta dare seguito a tale proposta con diligenza, nel rispetto degli usi commerciali e in buona fede.
Bisogna però mettere in guardia gli operatori economici che vendono prodotti che potrebbero includere SEP dall’interpretare questa sentenza come un incoraggiamento a rilasciare tranquillamente qualunque articolo sul mercato pensando che “mal che vada, se risulta essere coperto da un brevetto, al massimo si pagherà la relativa royalty”. Infatti, anche tralasciando il fatto che tale sentenza non ha valore al di fuori del territorio dell’Unione Europea, va considerato che essa non impedisce al titolare del brevetto di iniziare comunque, e da subito, una causa di merito per chiedere i danni e inoltre che, se i costi della licenza FRAND risultassero meno vantaggiosi del previsto e non si giungesse all’accordo, il titolare procederebbe poi con l’azione inibitoria.
Soprattutto, si deve tenere presente che non è detto che i tutti brevetti che sono stati dichiarati essenziali per un certo standard tecnologico siano in mano a un unico titolare. Infatti, non è inconsueto per chi vende dispositivi che prevedono lo sfruttamento di uno standard tecnologico ricevere due o tre lettere di diffida da soggetti diversi, ciascuno dei quali si dichiara titolare di un pool di brevetti essenziali per lo standard in questione, ogni pool contando centinaia di titoli brevettuali. In questo caso, è forte il rischio di cosiddetto “royalty stacking”, cioè di cumulo dei canoni di licenza che il destinatario delle comunicazione di diffida è chiamato a pagare.
Si segnala infine che l’Unione Europea e gli USA stanno assumendo posizioni distinte sul tema degli Standard Essential Patent.
Infatti, la Commissione Europea ha invitato i legislatori a istituire enti indipendenti preposti a verificare l’essenzialità dei brevetti, a definire meglio le caratteristiche del regime FRAND ed ha esortato a creare degli “sportelli unici” per rilasciare le licenze di tutti i titoli brevettuali essenziali che coprono un determinato standard.
Di segno opposto è la posizione dell’attuale Dipartimento di Giustizia americano che, in controtendenza rispetto all’orientamento della precedente amministrazione, ha dichiarato per bocca del capo dell’antitrust Makan Delrahim che l’azione giudiziaria a tutela dei brevetti, siano essi SEP o meno, non deve essere trattata come una questione soggetta alle norme antitrust, al contrario quindi di quanto ha fatto la Corte di Giustizia Europea nel caso Huawei v. ZTE. Semmai, secondo Delrahim, un maggior rischio di violazione delle norme antitrust potrebbe emergere da una possibile collusione tra gli SDO e i tanti soggetti economici interessati ad acquisire le licenze sui SEP.
Dalla analisi che precede, cha ha cercato di semplificare quanto possibile una materia molto tecnica e articolata e che ha toccato solo un numero limitato delle questioni importanti sul tema, si comprende come per le aziende attive nei settori in cui è imprescindibile l’impiego di standard tecnologici o che programmano l’ingresso in questi settori, sia cruciale l’affiancamento del consulente brevettuale e talvolta di un legale specializzato quando si compiono i passi più importanti nello sviluppo e nel lancio dei prodotti.
© BUGNION S.p.A. – Settembre 2018