Articolo pubblicato in Bugnion News n.14 (Gennaio 2016)
Il 3 dicembre 2015, la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza, molto attesa, che ha affrontato il tema del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, e dei possibili conflitti tra i poteri regolamentari che l’Agcom si è attribuita con proprio Regolamento, rispetto alle norme primarie che le consentirebbero tali attività.
Prima di conoscere il contenuto della sentenza della Cassazione, è però opportuno ricostruire velocemente i punti nodali dell’intera questione ed in primo luogo ribadendo definizione e competenze dell’AGCOM.
L’AGCOM, Autorità Garante per le garanzie nelle comunicazioni, svolge funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo, dell’editoria e, più recentemente, delle poste.
Il 31 marzo del 2014 è entrato in vigore il c.d. Regolamento Agcom sul diritto d’autore online, che prevede che i titolari di diritti e associazioni possano inviare un’istanza dall’Autorità e chiedere la rimozione delle opere digitali diffuse in violazione dei diritti d’autore, sia online che sui mezzi radiotelevisivi.
In sostanza, l’Autorità qualora dovesse riscontrare un danno al diritto d’autore, ha il potere di richiedere la rimozione di contenuti pubblicati online in violazione del diritto d’autore o, nei casi più gravi, ordinare agli internet service provider italiani il blocco di intere piattaforme ritenute coinvolte nella diffusione di contenuti protetti da diritto d’autore.
Si tratta dunque di azioni di contrasto verso le “violazioni massive” del diritto d’autore sul web e mai contro gli utenti finali.
L’entrata in vigore del Regolamento ha però sin dall’inizio innescato diverse critiche sia di carattere giurisdizionale sia di diritto sostanziale.
In particolare, è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale del Regolamento e sono in molti a sostenere che l’Autorità avrebbe abusato dei propri poteri e che non vi sarebbero norme di legge su cui poter basare la sua competenza, in quanto per poter incidere sui diritti e sulle libertà dei consumatori, anche sul web, è necessaria una legge e non basta una iniziativa amministrativa.
E’ stato pertanto evidenziato da più parti che l’intervento in materia da parte dell’AGCOM rischierebbe di ledere diritti costituzionali fondamentali, la cui eventuale compressione/limitazione solo un vero e proprio giudice potrebbe valutare ed ordinare.
Nel settembre 2014 tutte queste critiche sono confluite in un ricorso presentato dinanzi al Tar del Lazio avviato da Altroconsumo, insieme a Movimento Difesa del Cittadino, Assoprovider e Assintelche, rivendicando la libertà della rete e diritti di informazione ed espressione dei consumatori digitali, hanno richiesto l’annullamento del Regolamento AGCOM sul diritto d’autore anche alla luce dei presunti vizi di costituzionalità, tra gli altri, dell’iter deliberativo e del contenuto del Regolamento stesso.
Il Tar ha però rinviato la questione sul regolamento sul diritto d’autore, sollevando dubbi sulla legittimità del quadro normativo sulla cui base l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ha emanato il Regolamento sulla tutela del diritto d’autore online si è mossa l’Authority, confermando tuttavia la sua competenza in materia.
In sostanza la decisione del Tar del Lazio afferma che l’Agcom avrebbe correttamente applicato le leggi dubitando, invece, della costituzionalità delle norme di legge stesse ed ha quindi rimesso il relativo giudizio alla Corte costituzionale.
Quanto sin qui descritto rappresenta in chiave piuttosto sintetica ed esplicativa il quadro che ha anticipato la sentenza della Corte Costituzionale, citata all’inizio del presente articolo.
Vediamo a questo punto il contenuto della decisione della Consulta.
Anticipiamo subito che la questione non ha trovato nemmeno in questa sede una risoluzione chiara e definitiva.
La Consulta ha infatti giudicato inammissibile le ordinanze presentate dal Tar del Lazio nel settembre del 2014.
Le questioni sollevate, per i giudici della Corte, presentano profili di contraddittorietà, ambiguità e oscurità nella formulazione della motivazione e dell’oggetto.
Perciò il regolamento continuerà ad essere applicato in attesa di una nuova pronuncia da parte del Tar o del Consiglio di Stato.
La Consulta ha però dato ragione in parte a chi sostiene che l’Agcom si sia attribuita poteri non compresi nelle sue funzioni.
I giudici sostengono infatti che “le disposizioni censurate non attribuiscono espressamente” all’Autorità “un potere regolamentare in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”. E anche che: “nessuna delle disposizioni impugnate, in sé considerata, dispone specificamente l’attribuzione all’autorità di vigilanza di un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del regolamento impugnato nei due giudizi davanti al Tar”.
Da queste asserzioni si evince che la Corte non è convinta della legittimità costituzionale delle norme sulle quali si fonda il potere dell’Agcom. Ma per ora il regolamento resta in piedi fin quando il Parlamento, la sede sicuramente più opportuna per disquisire e soprattutto risolvere l’intera querelle, si assumerà la responsabilità del proprio ruolo ed affronterà la questione questa volta in via definitiva.
© BUGNION S.p.A. – Gennaio 2016