Articolo pubblicato in Bugnion News n.40 (Marzo 2020) – Ascolta la versione Audio
Il 2020 si sta già profilando come un anno di estremo fermento ed interesse per le novità normative introdotte in Europa ed in alcuni dei più grandi mercati mondiali, tra cui gli Stati Uniti, per quanto riguarda la soglia (anticipata?) di responsabilità a carico dei giganti del web in relazione a violazioni di diritti di proprietà industriale ed intellettuale.
Dopo anni di gestazione, nel 2019, L’Unione Europea ha approvato la ‘Direttiva Copyright’ n. 790, che ridisegna, in alcuni aspetti fondamentali, l’equilibrio degli interessi tra un web finora piuttosto ‘libero’ e le legittime prerogative dei titolari di diritti d’autore e dei creativi.
La spinta decisiva verso l’adozione di tale normativa, dopo anni di aggiustamenti e ripensamenti, è stata anche data dalla presa di coscienza dell’entità dei profitti e della grande ricchezza conseguiti dai vari provider e web marketplace, quindi dalla necessità di operare un intervento ‘re-distributivo’ nell’interesse degli autori.
Al di là di attendere con curiosità il decreto che di qui a pochi mesi dovrà dare attuazione anche in Italia a questa legislazione unionale, ci si domanda se già questa normativa non nasca ‘superata’.
Superata forse, in primo luogo, da una giurisprudenza, comunitaria e nazionale, che in argomento si è ormai affinata, giungendo ad imporre in capo ai gestori di queste piattaforme degli oneri sempre più stringenti, tanto che l’obbligo di prevedere un meccanismo di ‘reclamo e ricorso celere ed efficace atto a definire le controversie in merito a determinate opere o materiali in violazione dei diritti d’autore’ previsto dalla Direttiva pare già che abbia trovato definizione più puntuale in via spontanea o a seguito di alcune pronunce dei Tribunali, anche italiani.
Il riferimento va ad esempio alla cosiddetta ‘dynamic injunction’ idonea a coinvolgere diversi URL (v. ordinanza del Tribunale di Milano del 12 aprile 2018 sul caso Mondadori), fornendo alcuni interessanti spunti in merito al carattere “dinamico” di un ordine cautelare in presenza di violazioni del diritto d’autore commesse attraverso siti “alias“.
Alcuni siti mutavano il nome a dominio oggetto di un ordine restrittivo o inibitorio dell’autorità giudiziaria, continuando, con diverse coordinate, ad offrire contenuti illeciti attraverso un sito solo formalmente diverso.
In questo caso, al provider è stata inibita la continuazione di tale condotta e quindi ulteriori upload di contenuti già giudicati in violazione. Il che se non disegna un generico obbligo di preventiva sorveglianza in capo ai provider, certamente ne fa sorgere uno più specifico, su dei contenuti già segnalati come in conflitto rispetto ai diritti autorali.
Nella Direttiva c’è però anche la previsione dell’obbligo di attivarsi per ottenere preventive autorizzazioni allo sfruttamento di determinati contenuti. Il che auspicabilmente potrebbe portare a ridurre il fenomeno di pirateria almeno di quei contenuti che la piattaforma, già a monte, può individuare come di impatto commerciale rilevante.
Ma l’impianto della Direttiva Copyright rischia di risultare superato anche alla luce di un diverso bilanciamento di interessi, disegnato ad esempio dall’Executive Order firmato dal presidente degli Stati Uniti d’America Trump il 31 gennaio 2020, con lo scopo di, come recita il titolo, garantire un sicuro e lecito svolgimento del Commercio on-line, nell’interesse dei consumatori, delle aziende e dei loro diritti di proprietà intellettuale.
Il decreto prevede l’adozione di alcune liste (nere?) nelle quali dovranno inserirsi i nominativi dei vari importatori che collaborano con le piattaforme di vendita on-line ed i criteri per i quali detti importatori possono acquisire un record number che le autorizzi al commercio negli Stati Uniti. Gli operatori, anche web, non solo hanno un obbligo di astenersi dal relazionarsi con chi di tale record number è sprovvisto, ma hanno anche un dovere di notifica al Dipartimento di Sicurezza Nazionale – Ufficio Dogane nell’ipotesi in cui vengano a sapere che determinati prodotti potrebbero entrare nel territorio su iniziativa di tali importatori.
Pena l’esclusione da alcuni particolari programmi privilegiati di collaborazione con le stesse Dogane nonché la possibile sospensione di licenze commerciali.
I nuovi regolamenti si rivolgono anche ai corrieri postali internazionali, elaborando un sistema metrico di credibilità e affidabilità, fondato su statistiche elaborate in base ai controlli doganali, effettuati di modo che determinati corrieri potrebbero, in caso di reiterate violazioni, essere sottoposti a ispezione oppure addirittura potrebbe essere impedito loro di consegnare le merci sul territorio.
Quindi, la soglia di responsabilità degli operatori anche di web Marketplace rispetto a prodotti contraffatti è anticipata non solamente nel tempo, ma anche nello spazio, cioè a livello geografico, dovendosi i primi concretamente attivare affinché operatori sospetti non possano neppure far partire i prodotti verso gli USA.
Effettivamente ci potremmo interrogare sull’adeguatezza oggi di una tutela ‘avanzata’ e che corre più forte, come la lepre nella favola di Esopo, nella quale lo Stato e le sue Dogane hanno un ruolo prioritario, se non esclusivo, al confronto di quella europea, più ponderata, ma certamente più ‘lenta’, come la tartaruga, che oltretutto mantiene un’impronta essenzialmente privatistica.
Sarà in ogni caso interessante seguire le prossime mosse dei giganti del Web, nell’anno in cui Amazon per la prima volta ha espressamente indicato il ‘falso’ quale seria questione da considerare nel suo report annuale agli investitori.
© BUGNION S.p.A. – Marzo 2020