Articolo pubblicato in Bugnion News n.21 (Marzo 2017)
Siamo pronti a lanciare il prodotto e ad affrontare il mercato globale.
Conosciamo gli strumenti a disposizione per cautelarci e mantenere il controllo della filiera? Nella scelta dei rapporti di distribuzione ci ispiriamo solo a logiche commerciali? Conosciamo i vantaggi e le controindicazioni proprie di ciascuna figura contrattuale? Una volta registrato il mio marchio o design gli do vita tramite l’accordo di sfruttamento più adatto alle mie esigenze?
Non dimentichiamo che è dalla consapevolezza che deriva lo scarto competitivo tra concorrenti.
Di recente ho avuto un confronto con un amico e imprenditore dell’hinterland fiorentino, esperto designer e modellista di borse in cuoio e pellami di qualità, la cui azienda di famiglia (letteralmente, composta da 2 persone, lui e la madre) è cresciuta già a livello nazionale e ora si affaccia, grazie ad importanti distributori, sulla platea mondiale.
Parlando, è emerso uno di quei fenomeni che la prassi pare troppo spesso accettare quale conseguenza ‘fisiologica’ di un sistema distributivo che sfrutta, spesso a danno del proprietario del marchio/modello, la dimensione globale del commercio.
Discutendo degli alti costi connessi al mantenimento di monomarca affacciati sulle piazze e vie prestigiose di alcune città, mi spiegava con candore che ‘quello lì in passeggiata, sai come fa a resistere? Compra 1000 pezzi poi altri 5000 li fa fare in Polonia o in Cina e se li rivende dove vuole’.
Vedendomi alquanto contrariato, ha detto la cosa che evidentemente aveva più senso in quella situazione: ‘beh lo fanno tutti!’.
E’ vero che oggi lo fanno in tanti; ma manca un po’ di consapevolezza da parte dei titolari del marchio e dei designer sulle facoltà di cui dispongono per cautelarsi e mantenere un certo controllo della filiera.
I rapporti di distribuzione commerciale possono assumere svariate connotazioni. E spesso è difficile valutare se sia più opportuno instaurare un rapporto più integrato col proprio partner (quale può aversi con una licenza od una affiliazione commerciale, c.d franchising) oppure sia preferibile esplorare un mercato nuovo tramite una distribuzione semplice dei prodotti.
Ma la scelta dell’una o dell’altra soluzione, che l’imprenditore tende a compiere in base a logiche essenzialmente commerciali, quindi quasi sempre privilegiando la rapidità, è bene che venga fatta anche alla luce di valutazioni di carattere strategico e giuridico, che presuppongono la conoscenza dei vantaggi e delle controindicazioni proprie di ciascuna figura contrattuale e, insomma, una breve riflessione in più.
Questo perché da tale consapevolezza normalmente deriva un primo scarto competitivo tra concorrenti.
L’imprenditore ‘avveduto’ deve anzitutto conoscere i vantaggi che discendono dalla registrazione del proprio marchio commerciale o design. Così come deve sapere che lanciare il proprio prodotto sul mercato, specialmente globale, senza aver blindato i segni distintivi della propria azienda può costituire un serio rischio.
Un ulteriore aspetto su cui spesso ci si sofferma poco è che i diritti di I.P., una volta registrati, non devono affatto essere tenuti nel cassetto!
Anzi devono vivere nella quotidianità dei rapporti, tramite accordi di sfruttamento che possono prendere le più svariate forme. Altrimenti il senso della registrazione rimane monco.
Qui si verifica normalmente un ulteriore scarto competitivo.
L’imprenditore che registra e che comprende l’importanza di un accordo commerciale che, come un vestito, è fatto su misura per le proprie esigenze, avrà di certo vita più facile rispetto a colui che ignora l’importanza degli strumenti di I.P., e quindi le varie sfaccettature dei rapporti di distribuzione.
Una recente pronuncia del Tribunale di Milano[1] ha confermato che il licenziante/titolare del marchio registrato può modulare le proprie facoltà e diritti nell’ambito della regolamentazione contrattuale privata, in modo da ritrovarsi in una vera e propria posizione di forza che gli permette di vietare condotte da lui non espressamente consentite.
Nel “…rapporto di licenza…al licenziante è … attribuito…il controllo non solo della fase di ideazione e realizzazione ma anche di commercializzazione e distribuzione dei prodotti contrassegnati dal proprio marchio…”, potendo detto ‘controllo’ risolversi in una serie, più o meno, stringente di obblighi per il licenziatario, negoziabili, per cui “la produzione e la commercializzazione di prodotti recanti il marchio concesso in licenza ma al di fuori dei limiti espressamente consentiti dalla licenziante integra gli estremi della contraffazione di marchio …e consente al titolare di agire – anche contro il licenziatario – non solo con i rimedi contrattuali, ma anche con quelli di cui all’art. 23 C.p.i.[2]”.
Insomma, anche il fenomeno di ‘sovra–produzione’ del licenziatario (ma non solo del licenziatario) può e deve essere contestato e contrastato dal titolare del marchio, tramite rivalse contrattuali ma anche non contrattuali.
Tuttavia, ciò presuppone una doppia consapevolezza a) degli strumenti che l’ordinamento appronta a tutela del patrimonio aziendale, prima fra tutti la registrazione dei propri marchi e modelli nei territori in cui si ‘fa’ commercio, direttamente o indirettamente; b) dell’importanza di un contratto di sfruttamento che preveda opportuni meccanismi di garanzia e controllo.
Normalmente chi si muove meglio e prima riesce a contrastare, poi, fenomeni illeciti, recuperando fette importanti di mercato.
Se oggi quindi ‘lo fanno tutti!’, c’è da augurarsi che domani, grazie ad una maggiore consapevolezza, non lo farà nessuno!
© BUGNION S.p.A. – Marzo 2017