Lasciamoci alle spalle le immagini idilliache della famiglia del Mulino Bianco che fa colazione mangiando biscotti e sorrisi.
Nonostante l’argomento sia “dolce”, infatti, di “dolcezze” non se ne sono affatto scambiate Barilla G e R Fratelli S.p.A., colosso del settore alimentare, e Tedesco S.r.l., impresa di più modeste dimensioni, operante nel medesimo settore (a onor del vero è stato citato in giudizio anche il distributore Sapori Artigianali S.r.l., la cui posizione tuttavia è stata ritenuta marginale).
La “Guerra dei Biscotti”
Il caso: il 15 marzo scorso, dinanzi al Tribunale di Brescia, ha avuto luogo l’ultimo renversement della ormai nota “Guerra dei Biscotti”.
Il primo “attacco” è stato sferrato da Barilla nel giugno 2023, depositando un ricorso cautelare volto a contrastare in modo immediato e urgente la presunta contraffazione dei propri Marchi di forma, sia registrati (Galletti, Gocciole, Tarallucci, Pan di Stelle e Abbracci), che di fatto (“Macine”, “Campagnole”, “Molinetti”, “Gran Cereale” e “Gran Cereale Frutta”).
Inoltre, si contestava anche il compimento di atti di concorrenza sleale.
Barilla ha quindi richiesto che fosse inibita la produzione, la commercializzazione e l’esportazione dei prodotti “Zuccherì”, “Cruschetti”, “Gocciotti”, “Maramao”, “Tondolotti”, “Amiconi”, “Raggi di Sole”, “Tuorlini”, “Armoniche” e “Biscotti con cerali e frutta”, oltre a richiederne il sequestro, unitamente ai relativi macchinari per la produzione, materiale pubblicitario e ogni altra documentazione ad esse relativo, compresi le scritture contabili.
Nonostante alcune perplessità, poi riesaminate in sede di reclamo, il giudice non ha ritenuta integrata la fattispecie di contraffazione in relazione ai marchi di fatto di Barilla, ma ha considerato invece sussistente la contraffazione in relazione ai Marchi registrati, attraverso la commercializzazione dei biscotti “Amiconi”, “Gocciolotti” e “Maramao” di controparte (v. immagini sopra). Inoltre, la condotta di Tedesco è stata ritenuta pregiudizievole degli investimenti effettuati da Barilla, nonché indice di agganciamento parassitario perpetrato in violazione dei principi di correttezza professionale e lealtà commerciale (ad esclusione dei “Biscotti con Cereali e Frutta”).
L’analisi del Tribunale
Allerta Spoiler: la notizia è che il Tribunale di Brescia ha “ribaltato il risultato” (cit.).
Ma quali sono le eccezioni di controparte che hanno fatto invertire la rotta al Collegio?
Riprendendo le fila delle obiezioni del primo giudice, il Tribunale ha confermato che Barilla non ha adeguatamente assolto l’onere probatorio volto a dimostrare la validità dei marchi di forma di fatto, in merito ai quali, pertanto, non ha ritenuto sussistere il fumus boni iuris.
Infatti, la presenza nel mercato di riferimento di un numero consistente di biscotti dalla forma fortemente simile a quella dei marchi di fatto, commercializzati da illo tempore, addirittura ancor prima dell’immissione in commercio di quelli di parte attrice, ha reso comuni le forme di questi ultimi prodotti dolciari.
Il Collegio, peraltro, ha altresì sollevato obiezioni anche in merito alla validità dei marchi registrati di Barilla, in virtù dell’“affollata” situazione del mercato e, in particolare, sulla pacifica convivenza di omologhe tipologie di biscotti di competitors, arrivando a rintracciare una conseguente volgarizzazione dei marchi di forma, che nemmeno gli ingenti investimenti di Barilla in pubblicità sarebbero stati in grado di contrastare.
La strategia di Barilla: distintività e notorietà del Marchio
Barilla ha cercato di dimostrare la sussistenza della capacità distintiva, originaria o sopravvenuta con secondary meaning, delle relative forme, ma l’onere probatorio non è stato ritenuto assolto. Il mero rinvio alle fotografie raffiguranti i propri biscotti non è stato sufficiente a dimostrare che non si trattasse di forme non comuni e, per di più, ha pregiudicato il diritto al contraddittorio, non consentendo a controparte di comprendere chiaramente quali fossero gli elementi contraffattori contestati e al giudice di esaminarli puntualmente.
La distintività di “Abbracci”, “Gocciole” e “Pan di Stelle” non ha trovato corroborazione neanche tramite il tentativo di Barilla di sfruttare a suo favore proprio quell’affollamento del mercato che controparte ha usato per eccepire la validità degli stessi marchi. Secondo la multinazionale, la presenza di biscotti con forme analoghe, soprattutto se private label(venduti presso la grande distribuzione e contrassegnati dal marchio del supermercato “di turno”) “[…] paradossalmente rafforza la percezione dei prodotti di marca corrispondenti come gli “originali” e i migliori, per i quali è giusto pagare di più”, perché di qualità migliore.
Ma chi lo ha detto che questi ultimi sono qualitativamente superiori?
Ad avviso del Collegio, i prodotti private label costituiscono una valida minaccia per la diluizione del marchio altrui e per gli investimenti destinati alla sua affermazione come della relativa brand identity, al pari dei prodotti interferenti che riportano il marchio del relativo produttore.
Non è andato a buon fine neanche lo sforzo di Barilla di dimostrare la notorietà dei propri Marchi forma, perché le indagini di mercato da essa prodotte hanno evidenziato soltanto consumatori intervistati non pienamente consapevoli dell’origine imprenditoriale dei biscotti di Barilla oppure convinti, a ragione, che si trattasse di articoli di Pavesi o Mulino Bianco (sebbene anche questi marchi siano di titolarità di Barilla).
Inoltre, anche qualora si volesse prendere in considerazione la notorietà dei Marchi registrati “Gocciole”, “Pan di Stelle” ed “Abbracci”, che potrebbe riabilitare il fumus boni iuris (perché è assodato che più un marchio è rinomato, maggiore è il rischio di confusione/associazione), tale àncora di salvezza viene rigettata dal Collegio, il quale sostiene che in un mercato affollato, anche minime differenze sono idonee a diversificare significativamente i Marchi agli occhi del consumatore. In realtà, qualcuno potrebbe obiettare che la presenza di numerosi marchi interferenti non delegittima per sé la validità di un Marchio anteriore, né ne riduce automaticamente la portata distintiva. La normativa statuale, infatti, mette a disposizione gli strumenti necessari per il contrasto delle interferenze dei propri diritti di esclusiva.
Inoltre, non sfugge che il Tribunale prosegue esprimendo una valutazione generica, non dando forse il giusto rilievo al tipo di prodotto di volta in volta interessato. Il Collegio, infatti, sostiene che la percezione che il consumatore medio ha del segno di forma è solitamente minore rispetto a quella di un “segno tradizionale”, perché esso tende più facilmente a riconoscere l’origine imprenditoriale di un prodotto tramite il Marchio denominativo (perché non figurativo) che lo contraddistingue, piuttosto che tramite la sua forma.
Nutriamo qualche perplessità su tale affermazione, poiché essa non tiene conto delle sensazioni che un prodotto alimentare, soprattutto se appartenente al settore dolciario, può scatenare nella mente del consumatore medio.
In particolare, sosteniamo di non poter escludere che se un determinato biscotto è apprezzato per le sue peculiari proprietà organolettiche, l’immagine della forma di detto prodotto verrà automaticamente e fermamente fissata nella mente del consumatore, il quale potrebbe condurre le future scelte di acquisto proprio ricercando quella forma che ha scaturito in sé tali piacevoli sensazioni, anche negli scaffali del supermercato.
Peraltro, il Collegio confuta l’asserito rischio di associazione, sulla base di un ragionamento che estende la ratio di una sentenza relativa al modello registrato per applicarla al marchio di forma e dichiarando quindi che “la confondibilità varia in dipendenza del grado di “affollamento” del settore merceologico esaminato: se vi sono pochi prodotti del genere considerato, occorrono maggiori modificazioni perché queste siano idonee ad individualizzarlo, nel caso in cui ci siano numerosi o numerosissimi prodotti del medesimo genere, tutti simili tra loro, anche leggere modifiche possono essere sufficienti a differenziare i prodotti concorrenti (sul punto cfr. C. Cass. 23975/20).”
È legittimo domandarsi, a questo punto, se la capacità distintiva di un segno, da cui la valutazione del rischio di confusione/associazione è strettamente dipendente, non abbia dei caratteri in comune con il carattere individuale di un design.
Ad ogni modo, Barilla non è comunque riuscita a superare l’ultimo ostacolo: quello del periculum in mora, il quale merita un’attenta riflessione.
In particolare, il Collegio ha ammesso che l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, nell’ambito della Proprietà Intellettuale, tende a riconoscere il periculum in mora in re ipsa, sottraendolo così all’onere della prova. Infatti, la stessa natura della contraffazione, che si può espandere in modo incontrollato, rende impossibile accertare a posteriori i relativi danni. Per questo, ci si limita ad accertare la valida sussistenza dei diritti azionati.
Tuttavia, nel caso in esame, l’autorità giudicante si è in parte distaccata dall’applicazione tout court dei criteri di interpretazione di cui sopra, per aderire ad orientamenti giurisprudenziali più recenti, che tengano conto anche del momento in cui è iniziata la circostanza pericolosa, ai fini della valutazione del requisito di urgenza.
In particolare, occorre tener conto della portata dell’articolo 131 C.p.i., secondo cui si può accedere alla tutela cautelare a fronte di “qualsiasi violazione imminente del diritto e del proseguimento o della ripetizione delle violazioni in atto”.
È pacifico che la norma abbia come parametro di riferimento le “violazioni in atto” o il pericolo di reiterazione delle stesse e che non abbia un limite iniziale ben definito. Si tende a considerare rilevante l’inerzia, nel senso che non giustifica più il ricorso alle misure d’urgenza quando la condotta interferente ha già prodotto i suoi pregiudizi in modo irreversibile.
Però, la funzione della tutela cautelare è proprio quella di evitare che, nelle more del giudizio ordinario, si manifestino o si aggravino le lesioni nei confronti del titolare del diritto azionato.
Perciò, un’inerzia prolungata, in concomitanza con la consapevolezza da parte del titolare del diritto sia della violazione che del relativo autore, porta ad escludere il periculum in mora. Questo è ancora più vero se il lasso temporale trascorso prima dell’iniziativa è pari o superiore alla durata di un giudizio di merito.
Per quanto riguarda i biscotti “Amiconi”, “Maramao” e “Gocciolotti” è evidente che Barilla fosse a conoscenza dell’esistenza di tali prodotti almeno dal 2016, quando la società di Parma ha inviato una diffida a Tedesco su altri prodotti, riscontrando l’esistenza anche di quelli oggetto dell’odierno giudizio, senza tenere in considerazione la costante partecipazione a fiere di settore da parte di entrambe aziende alimentari. Un tale ritardo nell’intervento contro Tedesco (quasi dieci anni) si pone in netto contrasto con l’immediatezza del pericolo e quindi dell’urgenza richiesta.
A fronte quindi di tali circostanze, il Tribunale ha escluso sia il fumus boni iuris che il periculum in mora.
E infine, anche l’ultimo baluardo di Barilla crolla sotto l’attacco nemico. Infatti, il Collegio giunge a diverse conclusioni rispetto alla prima ordinanza del Giudice Delegato, non ritenendo fondate neppure le contestazioni in merito alla concorrenza sleale ed accogliendo il reclamo di Tedesco. Naturalmente, siamo certi che Barilla incasserà questa prima sconfitta raccogliendo le forze necessarie per proseguire in questa “Guerra dei biscotti”. L’ordinanza appartiene ad una fase preliminare, definita cautelare, che prevede la possibilità per le parti di instaurare un procedimento di cognizione ordinaria. È indubbio però quanto le argomentazioni sostenute nell’ordinanza appena analizzata pongano le basi per alcuni ragionamenti rilevanti, come l’importanza di tutelare i propri prodotti con opportune strategie di deposito, oltre alla necessità di intraprendere tempestive azioni di contrasto delle interferenze da parte di terzi.