Quella tra Italia e Inghilterra è una rivalità che, nell’ultimo anno in particolare, ha recitato un ruolo da vera protagonista nel mondo dei tabloid e dei quotidiani.
Ma chi l’avrebbe detto che, dopo la vittoria sugli inglesi nella Finale degli Europei di calcio (da sfavorita assoluta, oltretutto), l’Italia avrebbe mietuto un’altra vittima di “Reale Eccellenza” come Harry, nientemeno che il Principino di casa Windsor? Anche se, questa volta, dai campi di calcio si è passati al campo della Proprietà Intellettuale, con la nota marca di zaini Invicta a “bruciare” in contropiede il tentativo del Principe Harry di fondare un nuovo brand, legato a una competizione sportiva per veterani con disabilità.
Verrebbe da chiedersi: cosa c’entra il marchio Invicta con questa (per altro più che lodevole) iniziativa promossa dal nipotino della Regina Elisabetta II?
Nulla, se non fosse per il nome scelto dal Principe Harry per questa manifestazione: “I’m Invictus”, ovvero “invincibile”, allo scopo di evidenziare ancora di più quel carattere di resistenza e resilienza tipico dei veterani di guerra.
A sollevare gli animi in casa Invicta, però, non è stato certo l’aspetto sportivo, o sociale, di questa competizione; né tantomeno la doverosa celebrazione degli eroi di guerra della Union Flag.
Il problema, in realtà, era legato alla richiesta del secondogenito di Lady D di registrare il marchio “I’m Invictus” anche per articoli e accessori come borse, capi di abbigliamento, gadget e, per l’appunto, zaini.
Da qui la reazione immediata dell’azienda torinese, che per uno scherzo del destino (quantomai beffardo in questo caso) nacque proprio in Inghilterra nel 1906, e solo nel 1926 si trasferì all’ombra della Mole Antonelliana. Invicta si è dunque rivolto allo UKIPO, l’ufficio che si occupa di Proprietà Intellettuale nel Regno Unito, presentando Opposizione contro la registrazione del brand I’m Invictus, ed è di questi giorni la notizia dell’accoglimento di tale domanda da parte dell’esaminatore (qui la sentenza).
A convincere le autorità competenti, oltre al richiamo evidente tra i due nomi, anche la somiglianza di alcuni dei tratti grafici tra il marchio presentato dal “Reale Ribelle” e quello dell’azienda torinese, che avrebbe inevitabilmente rischiato di portare confusione tra i consumatori.
Inutili i tentativi di convincere l’ufficio Marchi inglese da parte degli avvocati di Harry, che sarebbero arrivati a dichiarare che tanta è la fama del Duca di Sussex, che il nome “Invictus” da ora in avanti avrebbe riportato subito alla mente dei consumatori i reali di Inghilterra, piuttosto che un marchio che, dall’Italia, ha fatto la storia per molte generazioni di studenti nati tra gli anni ’80 e 90’.
“In realtà, probabilmente, la locuzione “Invictus” potrebbe anche richiamare alla mente dei consumatori i celebri reali, ma non per il settore dell’abbigliamento, nel quale il brand italiano risulta essere ben affermato anche all’estero – chiarisce l’avvocato Valentina Gazzarri, esperta in diritti di Proprietà Intellettuale e membro dell’Advertising Team di Bugnion Spa -. Inoltre, la portata semantica del marchio “Invicta” è sensibilmente scollegata dal tipo di prodotti chiamato a contraddistinguere e dalle relative caratteristiche. Questa circostanza rende detto segno un marchio forte, perché forte è la sua capacità distintiva. Pertanto, esso accede ad una tutela incisiva nei confronti di qualsiasi tipo di variazione che lasci comunque intatto il cuore del marchio e, cioè, quel nucleo ideologico che racchiude la capacità individualizzante del segno”.
Le argomentazioni dei “legali reali”, infatti, non sono bastate a convincere lo UKIPO, che in questa fase ha dato ragione a Invicta, rigettando la registrazione del marchio “I’m Invictus” e obbligando il Principino al pagamento di 1.600 sterline all’impresa italica.