Alzi la mano chi non si è mai servito di Facebook o Instagram per fare acquisti on-line!
Nell’ultimo periodo, poi, caratterizzato dalla pandemia e dal lockdown un giorno sì e l’altro pure, queste piattaforme sono state letteralmente invase da profili ed account ascrivibili alle aziende più disparate e più o meno blasonate, volti a mostrare (e dunque vendere) qualsiasi tipologia di prodotto, abbigliamento, accessori, profumeria in primis. E così, piano piano, la passeggiata per le vetrine del centro al sabato pomeriggio viene sostituita da incessanti tour virtuali per “negozi on-line” di qualsivoglia tipo e settore, tutti i giorni e a tutte le ore.
Non sono pochi i negozianti che, nell’impossibilità di svolgere il proprio lavoro tra le quattro mura della propria attività, hanno trasferito il proprio “know-how” sull’arte del vendere in post, fotografie e nelle famigerate “dirette” via Instagram e Facebook: “Ti piacciono queste scarpe? Vuoi sapere il prezzo? Scrivimi in direct”: ormai sta diventando la normalità, una normalità che ha consentito ad alcuni di essi, forse dotati di una maggiore spigliatezza e capaci di bucare un po’ di più lo schermo, di aumentare sensibilmente il proprio fatturato, potendo raggiungere un bacino di utenti molto più vasto rispetto a quello tipico del singolo negozietto fisico.
Questo fenomeno ci dovrebbe far riflettere su come l’e-commerce stia assumendo, anche solo per una questione di necessità, sempre più importanza e visibilità, unitamente ai rischi sempre più concreti e a volte incontrollabili di incappare in casi di contraffazione e violazione di diritti IP.
Non è certo un caso che, ormai da diversi anni, per poter vendere qualcosa via Facebook (o anche Instagram) sia necessario osservare naturalmente le disposizioni di legge e termini e condizioni imposti dalle stesse piattaforme, tra cui il divieto di porre in essere atti volti ad infrangere o violare i diritti di terzi, compresi i diritti di Proprietà Intellettuale. E coerentemente con tali termini di utilizzo, Facebook e Instagram hanno cercato di implementare solide misure di protezione della Proprietà Intellettuale, tra cui un programma globale di notifica e rimozione degli account o dei singoli post in violazione di tale politica.
Quest’anno, poi, Facebook si è spinta oltre: ha collaborato con una delle più grandi maison di moda a livello mondiale, Gucci America, per instaurare un’azione legale contro la vendita di merci contraffatte sulle proprie piattaforme. Un passo importante nel mondo dell’e-commerce, sempre più in evoluzione!
Questi i fatti: Facebook, Inc. e Gucci America, Inc. hanno citato in giudizio una donna di nazionalità russa di nome Natalia Kokhtenko presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti, Distretto Nord della California, per violazione dei termini e condizioni di utilizzo di Facebook e Instagram e violazione dei diritti di Proprietà Intellettuale di Gucci, ossia per l’uso non autorizzato di diversi marchi registrati di Gucci, tra cui il marchio aziendale, una serie di marchi “Gucci” e “GG” stilizzati e l’iconico nastro verde/rosso/verde.
In particolare, la Kokhtenko è stata accusata di essere responsabile della gestione di un business internazionale on-line e traffico di merci contraffatte, attraverso l’utilizzo, tra aprile 2020 e aprile 2021, di cinque account Facebook e più di 150 account Instagram, atti a promuovere i suoi negozi on-line su brands-msk.ru, luxprimer.ru, e attraverso i quali la stessa ha venduto decine di prodotti contraffatti dei più noti marchi del lusso, tra cui, appunto, prodotti a marchio Gucci, peraltro grossolanamente differenti da quelli originali della maison. Tutto ciò in contrasto, dunque, con il diritto dei marchi e i termini e politiche di utilizzo di Facebook e Instagram, che comprendono il divieto di violare i diritti di terzi, compresi i diritti di Proprietà Intellettuale.
Già in precedenza erano stati attuati da parte di Facebook tentativi di debellare l’attività della Kokhtenko, tra cui la disabilitazione di più di 160 dei suoi account su Facebook e Instagram, la rimozione di più di 125 post che promuovevano prodotti contraffatti, e l’invio di vari avvisi circa le sue violazioni dei Termini e Condizioni. Tentativi che, tuttavia, non sono bastati, dato che, a quanto pare, la Kokhtenko era riuscita a trovare il modo per continuare ad accedere e utilizzare Facebook e Instagram, usando tattiche ingannevoli per evitare il rilevamento.
È, invece, la prima volta che Facebook collabora come parte attrice in una causa per contraffazione, e ciò rappresenta sicuramente l’ultimo dei suoi sforzi per contrastare, dal punto di vista legale, l’abuso e la criminalità in-app e on-line.
La causa in collaborazione con Gucci riflette certamente la crescente attenzione di Facebook, Inc. sul mondo del commercio elettronico, e la necessità di poter garantire e stabilire parametri chiari per poter fare affari sulle sue piattaforme.
A questo proposito, Facebook ha anche recentemente lanciato un nuovo aggiornamento del suo Commerce & ADS IP Tool, che consente ai titolari di diritti di caricare un’immagine del loro prodotto/i per confrontarli con i contenuti di Facebook e Instagram, al fine di individuare eventuali inserzioni di materiale contraffatto.
Si tratta di un ulteriore strumento per consentire una maggior protezione della Proprietà Intellettuale sulla piattaforma, e sicuramente questa nuova azione legale in collaborazione con Gucci rappresenterà per Facebook un chiaro precedente legale per perseguire simili abusi perpetrati da terzi sulle proprie piattaforme.
Il colosso americano, ha infatti affermato che “lavorare e collaborare con marchi come Gucci ha aiutato Facebook e Instagram a sviluppare un robusto programma di protezione della Proprietà Intellettuale“, con il fine di “rimuovere più di un milione di contenuti relativi a pezzi contraffatti nel 2020, sulla base di migliaia di segnalazioni da parte dei titolari di marchi registrati, tra cui, appunto, Gucci“.
Allo stesso tempo, Gucci ha dichiarato che “questa azione conferma un forte piano strategico di applicazione dei diritti IP, volto a combattere la contraffazione e la violazione sia on-line che off-line a tutti i livelli – dalla produzione e distribuzione, alla promozione e vendita – e che ha portato a 4 milioni di annunci di prodotti contraffatti on-line disattivati, 4,1 milioni di prodotti contraffatti sequestrati off-line, e 45.000 siti web, compresi i social media, disattivati solo nel 2020”.
Considerando gli ultimi sforzi profusi da parte del gigante dei social media americano per incoraggiare le ultime frontiere dello shopping, questo episodio rappresenta sicuramente un passo molto importante, capace di fornire una maggiore garanzia sia alle aziende che agli acquirenti per quanto riguarda la legittimità dei prodotti venduti attraverso questo canale, che sta diventando ormai quasi imprescindibile per l’attuazione di una buona (e soprattutto fiorente) politica commerciale.
Questa vicenda richiama ancora una volta l’attenzione sull’importanza che può avere una pianificazione efficace delle strategie di tutela dei propri diritti di Proprietà lntellettuale e della relativa diffusione. Tutela che non si traduce, ad esempio, nel solo atto di deposito del marchio, ma anche (e forse soprattutto) nella sua protezione attiva, attraverso veri e proprio servizi di sorveglianza attivabili anche sui canali internet, volti a verificare la diffusione commerciale di segni e/o prodotti contraffatti presenti su social-media quali Facebook, Instagram o LinkediIn e, ancor prima, su piattaforme di vendita on-line quali Amazon, eBay, AliBaba, per citarne solo alcuni.
A tale riguardo risulta senz’altro cruciale avvalersi del supporto di un consulente specializzato in materia di Proprietà Industriale ed Intellettuale, che possa fornire adeguata assistenza anche per la pianificazione di una strategia di tutela a tutto tondo e non certo limitata all’attività di filing.
© BUGNION S.p.A. – Maggio 2021